sabato 26 marzo 2016
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Giunta dalla Terra Santa in Occidente attorno al XV secolo, dalla penisola iberica – dov’è ben documentata nel secolo successivo con le tradizionali quattordici Stazioni – la Via Crucis arriva a Roma raggiungendo la massima popolarità durante un Anno giubilare: quello del 1750. Da sempre sostenuta soprattutto negli ambienti francescani, già appoggiata da Pontefici come Innocenzo XI, Innocenzo XII, Benedetto XIII e Clemente XII, nella città eterna la pia pratica trova formidabili sostenitori in san Leonardo da Porto Maurizio e in papa Lambertini (Benedetto XIV) che al Colosseo ne fa uno dei simboli del suo Anno Santo. Grazie a loro, che se ne avvalgono anche come argine alla diffusione del giansenismo e dell’illuminismo, la Via Crucis diventerà sempre più patrimonio comune tra i cristiani, legato alla vita delle parrocchie, invadendo persino spazi pubblici e privati, con la sua proposta di itinerario orante e penitenziale. Ma fermiamoci al Colosseo. Se è vero che proprio a san Leonardo, questo frate gracile, ma potente predicatore, si deve l’istituzione dell’Arciconfraternita degli Amanti di Gesù e Maria al Calvario per la Via Crucis al Colosseo, è Benedetto XIV che nell’anfiteatro romano – là dove si riteneva avessero affrontato il martirio molti dei primi cristiani della città – fa collocare la sua grande Via Crucis: lungo gli spalti quattordici edicole con le tradizionali Stazioni e, al centro dell’arena, un’alta croce lignea (rimosse dopo l’Unità d’Italia, con la sola croce ricollocata nel 1926, mentre si preparavano i Patti Lateranensi). Sì, parliamo qui di una storia lontana, ma arrivata ai giorni nostri; di una tradizione antica ben viva – paradossalmente – durante i pontificati del secondo Novecento: il tempo della maggior secolarizzazione. Con Giovanni XXIII, il Papa del Concilio, che ripristina il rito nel 1959 (senza però ripeterlo). Con Paolo VI che lo riprende nel 1964 e lo guida dal 1970 al 1978 meditando su testi diversi: senza dimenticare in proposito che, proprio durante l’Anno Santo del 1975, è papa Montini a superare la formula usata da tre secoli, a favore di una celebrazione della Via Crucis costituita interamente da fatti evangelici, sfrondata di ogni elemento leggendario, dunque con le Stazioni dalla cena pasquale alla Risurrezione (qualcosa perciò di accettabile anche da parte delle Chiese sorelle dell’Oriente e della Riforma). Come scordare poi le tante volte in cui abbiamo visto Giovanni Paolo II portare la Croce al Colosseo sino all’irrompere della malattia? E i commenti per le stazioni scritti da lui stesso? Papa Wojtyla lo fece per il Venerdì Santo del 1984 a chiusura dell’ultimo Anno Santo straordinario, quello della Redenzione, e per il Venerdì Santo durante il Giubileo del Duemila. Con lui il pensiero va alle parole spese da Benedetto XVI nell’anfiteatro romano nel 2012 a ricordarci che la Chiesa, celebrando la morte del Figlio di Dio, vede nella sua croce l’albero della vita (sue anche le meditazioni per la Via Crucis del 2005 quand’era ancora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede). Ed eccoci al Venerdì Santo in un nuovo Anno giubilare straordinario. Con papa Francesco che è tornato al Colosseo per presiedere la Via Crucis dopo aver incaricato il cardinale Gualtiero Bassetti di preparare le meditazioni. Al centro sempre la croce che, diceva papa Francesco nella sua prima Via Crucis al Colosseo, è «la Parola con cui Dio ha risposto al male del mondo». E così continuava quella sera del 29 marzo 2013: «A volte ci sembra che Dio non risponda al male, che rimanga in silenzio. In realtà Dio ha parlato, ha risposto, e la sua risposta è la Croce di Cristo: una Parola che è amore, misericordia, perdono». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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