venerdì 4 gennaio 2013
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​"La politica non deve puntare all'abbattimento dello stato sociale e democratico, erodendo i diritti sociali". Lo dice alla Radio Vaticana monsignor Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Per Toso, i partiti nei loro programmi e agende "debbono avere come punto di riferimento i diritti e doveri dell'uomo considerati come unità indivisibile", e non devono trascurare ad esempio "il diritto al lavoro". Inoltre, "non si debbono contrapporre politiche dello sviluppo e politiche sociali".Commentando i temi del recente Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2013, monsignor Toso spiega che i partiti "non possono essere privi dell'orizzonte del bene umano integrale". "Il vero riformismo di cui tanto oggi si parla si trova avvicinandosi il più possibile, nelle agende, nei programmi partitici, all'integralità dei diritti-doveri dell'uomo - sottolinea -. Là dove, per varie ragioni tattiche di alleanza, si mette la sordina su alcuni diritti fondamentali, si frena il vero riformismo. Il riformismo è tale se favorisce la pienezza della umanità in tutte le persone".Il numero due di Giustizia e Pace osserva che "l'attenzione alla totalità dei diritti-doveri induce la politica a non trascurare, ad esempio, il diritto al lavoro: il lavoro è un bene fondamentale e non un optional come farebbe intendere la nuova dottrina del capitalismo finanziario sregolato, e, pertanto, occorre promuovere politiche attive del lavoro per tutti". "Così, la politica - prosegue - non deve puntare all'abbattimento dello Stato sociale e democratico, erodendo i diritti sociali, pena la crescita delle diseguaglianze e il conseguente indebolimento della democrazia partecipativa". Secondo l'arcivescovo, "senza i diritti sociali non sono fruibili i diritti civili e politici.Analogamente, non si debbono contrapporre politiche dello sviluppo e politiche sociali". Per monsignor Toso, "se tagli sugli sprechi debbono essere fatti, se tassazioni ci debbono essere ciò non significa penalizzare gli investimenti nella ricerca, nell'innovazione, nello studio, in nuove aree di operosità. Si dovrebbe escluderli, in definitiva, dal deficit di bilancio". "Essi - conclude - rappresentano le condizioni indispensabili per favorire la crescita e la ricchezza nazionale".
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