mercoledì 16 dicembre 2015
I responsabili della pastorale giovanile raccontano come la scoperta della misericordia di Dio spesso tocchi i cuori dei giovani trasformandoli. Così il Giubileo è occasione per cambiare anche gli stili di vita
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La misericordia? Fa parte dei desideri più profondi dei giovani e per questo il Giubileo è una grande occasione per dare un nome all’anelito di trasformazione dei cuori che le nuove generazioni coltivano da sempre, ma che alle volte sembrano aver dimenticato. Ne sono convinti i responsabili della pastorale giovanile di tutta la Penisola, che raccontano come stanno cercando di far vivere concretamente questa occasione ai loro ragazzi.

«La scoperta della misericordia donata a partire da quella ricevuta da Dio affascina e stuzzica i giovani – nota don Alessandro Lombardi, incaricato regionale di pastorale giovanile della Toscana –. Quando poi mettono a fuoco le opere di misericordia (queste grandi sconosciute) i ragazzi ne colgono immediamente l’attualità non solo in relazione ai grandi temi del nostro tempo come la fame nel mondo ma anche nella loro vita quotidiana. Si rendono conto che la misericordia spinge a una revisione degli stili di vita da mettere in pratica nelle piccole grandi scelte di ogni giorno». Ecco perché accanto ai gesti concreti come le visite alle case di riposo, alle carceri, il servizio nelle strutture Caritas «vanno accompagnati con la cura dell’incontro personale con il Signore», aggiunge don Lombardi. È questo che si vivrà nel percorso verso la Gmg, che di fatto è «un percorso giubilare». I giovani, ma anche gli adulti, «sembrano schiacciati tra due estremi: da una parte viviamo un senso di inadeguatezza che ci fa sperimentare un senso profondo di colpa – nota don Nicola Ban, incaricato del Triveneto –; dall’altra parte viviamo un narcisismo difensivo che sembra voler negare il senso del limite». Per questo il bisogno di misericordia e di perdono «non sono tramontati. Certo non è facile per i giovani accedere al perdono, alla riconciliazione e alla misericordia perché sembra che questo linguaggio sia molto distante dal loro vissuto». Per facilitare ad esempio «l’arrivo dei giovani alla Confessione e al colloquio penitenziale possono essere molto utili dei "fratelli maggiori" ovvero degli educatori o degli animatori che li accopagnino aiutandoli a vivere la prima parte del sacramento». Un «esperimento» concreto che ha già diverse esperienze in atto. Anche per padre Dario Mostaccio, incaricato della Sicilia, «si può e si deve parlare ai giovani di misericordia, di perdono e chiaramente anche di peccato». Ma per fare questo «dobbiamo evitare il rischio di trasmettere un’immagine di Dio offuscata». «Fin dalla fanciullezza – dice il sacerdote – la negazione è il metro con il quale misuriamo il nostro essere buoni cristiani e troppo spesso ci dimentichiamo che Gesù ha parlato del Padre utilizzando le categorie dell’amore e del perdono. Nel tempo in cui i nostri ragazzi amano "selfarsi " per raccontare il loro fascino esteriore, sarebbe bello trovare gli strumenti per fotografare il cuore che, se orientato, può esprimere una bellezza interiore, non sempre perfetta, ma splendida perché amata da Dio». Per don Mimmo Beneventi, incaricato della Basilicata, è fondamentale «parlare di misericordia con un linguaggio nuovo, che sia comprensibile». Sollecitati su questo tema, racconta il sacerdote, i ragazzi «legano il concetto di misericordia alla solidarietà, alla cura degli altri, degli emarginati, ma anche al concetto di amicizia, che include l’idea del dono di sé». Un modo concreto per vivere questa esperienza? Ad Acerenza, riporta il sacerdote, i gruppi giovanili hanno la possibilità di vivere delle giornate in una locale comunità di recupero: «La condivisione delle attività, anche ludiche, e il confronto con le storie di vita di questi ragazzi, sprona i giovani a ripensare a fondo il proprio cammino». Anche questo è di fatto un cammino giubilare.

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