lunedì 28 gennaio 2013
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​Verità e rispetto di ogni uomo – soprattutto per il più debole – sono le priorità per chi, impegnato nei media, affronta quotidianamente il difficile e delicato compito di informare. Il richiamo e l’invito accomuna i messaggi che i vescovi italiani hanno promosso in occasione della festa del patrono dei giornalisti, san Francesco di Sales.L’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, ha rivolto in questo senso un invito a tutti «a fare bene il proprio dovere, a farlo con la consapevolezza che in questo modo diventiamo un riflesso di Dio», ed una sollecitazione, al mondo dei media, «a rappresentare il cristianesimo come un sì alla vita e non come un no all’uomo». «A volte – ha detto – sembra prevalere una presentazione cupa del cristianesimo e della Chiesa, come se la fede fosse un peso che ci togliesse lo slancio della vita e della gioia». Ma, ha aggiunto, «Dio è il sì alla vita, all’uomo, alla sua libertà, alla sua voglia di amore, di felicità, di gioia». E «senza questo orizzonte, tutte le altre questioni, che riguardano la vita della Chiesa e il rapporto Chiesa-mondo, vengono falsate e lette come pesi e non come slanci, come l’affermazione più alta dell’amore, della libertà e della vita dell’uomo e del mondo». Il porporato ha quindi affermato che «Gesù mette in rilievo l’amore di Dio con i comandamenti di Dio e anche questa è una chiave di lettura che la mentalità moderna, a volte, fa fatica ad accogliere perché tende a interpretare l’amore come assenza di limiti, di vincoli e di regole. Tende a interpretare l’amore come un continuo slancio gratificante dove la dimensione del sacrificio, della dedizione, della fedeltà, a qualunque costo viene tendenzialmente emarginata perché intesa, percepita come negazione dell’uomo». A Genova, in occasione dell’incontro con i giornalisti, monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali, ha presentato l’ultimo volume di Bagnasco, La porta stretta.«Sappiate distinguere il verosimile dal reale. Tendete al vero, non fermatevi al verosimile». Ed evitate l’«uso strumentale e retorico degli ultimi e dei poveri nell’informazione». È l’invito che il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, ha rivolto ai giornalisti incontrandoli ieri all’Istituto dei Ciechi. Nuove generazioni, comunicazione, futuro era il tema del «dialogo» col direttore del Tg de La7, Enrico Mentana, che ha sottolineato la grande «sete di informazione» che anima i giovani, «nativi digitali», stretti fra la «socializzazione virtuale» e una sempre più drammatica emarginazione «strutturale». Aprendo l’incontro, il demografo dell’Università Cattolica, Alessandro Rosina, ha presentato i dati del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo relativi al tema giovani-comunicazione, dai quali emerge come i ragazzi d’oggi abbiano grande familiarità con nuovi media e social media, ma con distanza critica se non con disincanto. Proprio «la franchezza con cui i giovani si esprimono nella rete – ha commentato Scola – è un segno di libertà» e mostra, «in una fase storica di transizione come la nostra, che la libertà è la questione numero uno». Il problema? «Una libertà oggi ridotta a mera libertà di scelta e sganciata da ogni principio di bene e male». Quindi, additando il messaggio del Papa per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: in una «società plurale» come la nostra, serve quell’«ascolto di fecondazione» che apre all’incontro con quanto c’è «di bene, di vero, di bello» in ogni cultura. «È necessario un nuovo Concilio?», ha chiesto Mentana. «No – ha risposto Scola –: basta attuare compiutamente il Vaticano II».Ma torniamo ai media: «Se non ci fossero staremmo peggio». Evviva la stampa, la tv, internet, quindi? No, vanno usati con la massima prudenza, ha consigliato monsignor Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, incontrando i giornalisti. Assieme a lui, anche Dino Boffo, direttore di Tv2000 e Roberto Papetti, a capo de Il Gazzettino. Emblematica la strumentalizzazione che i giornali hanno fatto dell’insegnante di religione del Foscarini di Venezia, che ha usato con ingenuità alcuni appunti sull’omosessualità, e che, di conseguenza, è diventato vittima di una campagna contro la Chiesa che ancora continua. Il patriarca ha molto insistito sul principio della «fondatezza» che dovrebbe fare da guida ad ogni professionista della comunicazione. «Credo che la fondatezza sia l’impegno fondamentale di ogni giornalista che voglia servire il suo lavoro fino in fondo, superando quella parzialità di informazione che una complessità della realtà potrebbe anche sottoporre di primo acchito alla sua professione». Quindi, secondo il patriarca, «bisogna cercare di cogliere i particolari e chiamarli particolari e cercare di scrivere quel particolare all’interno di una visione complessiva. Credo che sia un servizio alla realtà che paga anche il giornalista stesso che alla fine può anche far vedere che i suoi mezzi non durano solo un giorno ma anche qualcosa di più». Non sono mancati appunti critici sui titoli che a volte, per essere di forte richiamo, distorcono i contenuti dello stesso articolo. «Credo che sarebbe opportuno che il titolo fosse fatto almeno con la collaborazione sostanziale di chi ha scritto il pezzo e non assemblato magari negli ultimi momenti». Anche Boffo ha constatato amaramente che oggi tanti giornalisti non si richiamano all’oggettività, ma neppure fanno uno sforzo in direzione dell’obiettività e della fondatezza. «Io vengo da una storia dolorosa e sono vittima di un giornalismo killer», ha denunciato, chiedendosi, preoccupato, a che cosa si ispirano effettivamente le giovani generazioni di giornalisti.
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