martedì 15 aprile 2014
​Parla l'ordinario militare: i cappellani presbiteri che vivono con i soldati da sacerdoti.
Roncalli: servizio prezioso per entrare nell'animo umano
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«Quando Papa Francesco, sei mesi fa, mi ha affidato la missione di ordinario militare, ho subito pensato che ci tro­vavamo nel 50° della Pacem in terris, un’enciclica scritta da Giovanni XXIII del quale proprio nel gior­no della mia nomina ricorreva la vigilia della festa. Ho sempre avuto una devozione particolare per lui, che tra pochi giorni verrà proclamato santo, e mi aiuta pensare che il suo grande insegnamento sul­la pace sia nato dall’avere vissuto egli stesso il ser­vizio militare e dall’aver servito la Chiesa come cappellano militare. Sì, la missione della Chiesa nel mondo militare non esclude, anzi implica profondamente, l’impegno evangelico per la pa­ce ». Monsignor Santo Marcianò, dallo scorso ot­tobre ordinario militare per l’I­talia, ama spesso rievocare la figura di Giovanni XXIII, so­prattutto quando, come è suc­cesso di recente, la speciale porzione di Chiesa di cui è pa­store viene messa in discussio­ne anche all’interno della co­munità ecclesiale.  Avvenire ha intervistato l’arcivescovo an­che in vista della canonizza­zione del 'Papa buono' che fu al contempo cappellano mili­tare ed estensore di una profe­tica enciclica sulla pace. Eccellenza, lei è ordinario mi­litare da sei mesi. Che idea si è fatto della pre­senza della Chiesa-ordinariato in un mondo par­ticolare come è quello militare? È una vera e propria realtà di Chiesa! Una presen­za di Chiesa richiesta, impegnata, necessaria. Mi ha subito colpito come l’opera della Chiesa, in par­ticolare dei sacerdoti, sia non solo stimata ma vo­luta dalla maggior parte dei militari i quali ne ri­conoscono la preziosità del servizio, di un impe­gno di cui spesso non si coglie la portata ma che investe realmente tutti gli ambiti dell’evangeliz­zazione: l’annuncio della Parola, la celebrazione dei Sacramenti, la pastorale giovanile e familiare, il supporto personale di situazioni difficili, lo stes­so discernimento vocazionale… Penso, solo co­me esempio, alla facilità con cui, nelle caserme, si possono avvicinare quei giovani spesso così difficilmente raggiungibili in altre realtà locali. Quindi l’intuizione di creare i vicariati castrensi, citati anche dal Concilio nel decreto Christus Do­minus, conserva tutta la sua attualità… In pochi mesi ho visto un campo d’azione straor­dinariamente vasto, per evangelizzare il quale non bastano sporadici interventi, è necessaria la pre­senza che dona identità: questa Chiesa deve ave­re coscienza - riprendendo papa Francesco nella Evangelii gaudium -  di essere un 'popolo', affidato alla guida e alle cure di un unico pastore col suo presbiterio; di essere una 'comunità', edificata at­torno all’Eucaristia e inviata ad annunciare il Van­gelo in comunione con la Chiesa universale. Lei ha già visitato numerosi reparti di varie for­ze armate, tra cui anche i militari impegnati in Af­ghanistan e nei Balcani. Come valuta questo lo­ro particolare compito? I militari che ho incontrato o­perano nel settore della difesa come pure nel supporto con­creto e generoso di situazioni di emergenza, indigenza, e­marginazione. Lo fanno con serietà, senso di responsabilità verso la vita altrui, dedizione fi­no al sacrificio della propria vi­ta: valori talora dimenticati e invocati proprio nell’attuale crisi culturale e nell’emergen­za educativa. È compito dei po-­litici, non nostro, valutare l’op­portunità delle diverse missio­ni di pace, come pure chieder­si perché ci siano guerre dimenticate che non su­scitano l’intervento della comunità internaziona­le. È indispensabile, però, che i militari, per primi, siano educati alla pace, a imparare la pace come risposta e stile da portare nelle logiche di guerra. E chi può svolgere questa formazione umana e cri­stiana meglio della Chiesa? Anche all’interno del mondo cattolico c’è chi ve­de una contraddizione tra l’essere uomini di Chie­sa e un impegno pastorale istituzionalizzato nel­l’ambito delle forze armate. In base alla sua e­sperienza come giudica questa valutazione? Apprezzo che la sua domanda faccia riferimento all’«esperienza»: spesso, infatti, di argomenti co­me questi si rischia di parlare in modo teorico quando non superficiale. La realtà delle forze ar­mate, assieme a tutti i corpi armati dello Stato, rap­presenta una delle istituzioni ovvie di ogni Paese democratico con la funzione di garantire difesa, sicurezza, legalità. La Chiesa, assicurando loro l’as­sistenza spirituale, riconosce nel mondo dei mili­tari - per dirla ancora con il Papa - una 'periferia' da evangelizzare. E mi creda, per quello che ho vi­sto, questa evangelizzazione è reale e convinta, improprio. In che senso? Non si tratta, infatti, di ministri che esercitano un ruolo liturgico più o meno significativo, ma di pre­sbiteri che vivono con i militari da sacerdoti: ob­bediscono al vescovo, vivono totalmente le esi­genze del Vangelo e dimostrano, così, la libertà del­la Chiesa che non teme di condividere le condizioni di vita delle persone, senza assumerle completa­mente, ma facendo trasparire la carità di Cristo che trasforma il cuore e la vita. L’ordinariato ha smentito che sia stato costituito un tavolo di confronto ufficiale tra governo ita­liano e Santa Sede per rivedere lo status dei cap­pellani militari. Ritiene tuttavia che ci possano esseri degli aspetti di questo status che possono essere rivalutati per adeguarli ai tempi? E quali dovrebbero essere, nel caso, le procedure da se­guire? Come dicevo, va tenuto conto che, in Italia, è sta­to ed è il mondo militare a richiedere l’opera dei sacerdoti, riconoscendo nel loro essere 'assimila­ti ai militari' la condizione di un efficace espleta­mento del ministero pastorale. Qualunque modi­fica in questo ambito deve assicurare la prosecu­zione di tale missione; va pertanto attentamente studiata da persone competenti e decisa dagli or­gani preposti, ovvero governo italiano e Santa Se­de. Posso confermare che non è in atto alcun ta­volo di confronto, come certa stampa in questi giorni sembra affermare. La riflessione, che la Chie­sa porta avanti da sempre, mira ad adeguare alla realtà storica la purezza e l’incisività della testi­monianza evangelica dei presbiteri, anche quelli chiamati alla cura educativa, spirituale e pastora­le di tanti uomini e donne nel mondo militare. Ma, in concreto, è possibile immaginare in un fu­turo più o meno prossimo cappellani militari sen­za stellette e gradi, e quindi con una remunera­zione da questi sganciata? Lo stato giuridico dei cappellani non è legato né allo stipendio né tanto meno ai gradi. Come già successo in altri Stati la modifica dell’inserimento dei cappellani all’interno della realtà militare è cer­tamente possibile, a condizione che si trovino del­le formule alternative adatte affinché i sacerdoti possano continuare ad esercitare il proprio mini­stero all’interno del mondo militare.
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