giovedì 6 dicembre 2012
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Pubblichiamo una riflessione che il cardinale Angelo Scola arcive­scovo di Milano ha preparato per i lettori di Avvenire sul tema del Discorso alla città e alla diocesi che il porporato terrà oggi alle 18 in occasione della celebrazione vi­giliare di sant’Ambrogio. 
«L’Editto di Milano del 313 ha un significa­to epocale perché se­gna l’initium libertatis dell’uomo moderno» (G. Lombardi, Persecuzioni, laicità, libertà religiosa. Dall’Editto di Milano alla "Dignitatis humanae" , Studium Roma 1991, 128). Non si può tuttavia negare che l’E­ditto di Milano sia stato una sorta di "inizio mancato". Gli avveni­menti che seguirono, infatti, apri­rono una storia lunga e travaglia­ta. Nel rapporto tra Stato e Chiesa insorsero presto due tentazioni re­ciproche: per lo Stato quella di u­sare la Chiesa come instrumentum regni e per la Chiesa quella di uti­lizzare lo Stato come instrumen­tum salvationis (Cf. ibid., 136). La storica, indebita commistione tra il potere politico e la religione può rappresentare un’utile chiave di lettura delle diverse fasi attra­versate dalla storia della pratica della libertà religiosa. Basta scor­rerne l’indice lungo la storia dalla pratica della libertà religiosa delle principali tappe in questi dicias­sette secoli che ci separano dall’E­ditto di Milano per cogliere i nodi fondamentali della questione. Un primo passo, che è bene ricor­dare, è l’evoluzione della legisla­zione imperiale fino ad assumere il cristianesimo come 'religione del­lo Stato' nei confronti degli eretici, prima, e in senso assoluto poi. Fu­rono, infatti, i disordini sociali le­gati al fenomeno degli eretici a in­ficiare il quadro di 'libertà religio­sa' e 'laicità dello Stato' che l’E­ditto di Milano aveva inaugurato. Il Medioevo fu poi tempo di ten­sioni tra l’Impero e la Chiesa e di lotta per la libertas Ecclesiae: ten­sioni che si risolveranno talora in favore del potere politico, talora in favore di quello ecclesiastico. Lo sviluppo della Riforma prote­stante, nelle sue variegate espres­sioni (valdese, luterana, calvinista e nella forma propria della comunità anglicana) ebbe nella storia euro­pea, in un certo senso, un esito pa­radossale. Lungi dal favorire una ri­presa della "libertà religiosa" con­dusse ad un irrigidimento della commistione tra potere politico e religione che sfocerà nelle guerre di religione. Per risolvere tale situa­zione, nelle paci di Augusta (1555) e di Westfalia (1648), venne ricono­sciuto il principio "cuius regio, eius et religio". Principio che, almeno nelle sue linee di fondo, domina la storia dello Stato moderno. In tale quadro giuridico si va sempre più affermando, al posto dell’idea di "li­bertà religiosa", quella di "tolleran­za" (in base alla quale l’indifferen­tismo religioso resta comunque im­pensabile) e, successivamente, quella di una configurazione co­siddetta agnostica dello Stato. Su tale terreno prendono forma sia la pretesa dello Stato etico, che condurrà ai totalitarismi del XX secolo, sia le varie forme di ri­duzione dello spazio democrati­co al mero rapporto tra Stato e singolo cittadino, nell’ignoranza, non di rado a volte totale, della società civile e di tutti i soggetti sociali che la abitano. In questo orizzonte moderno oc­corre affrontare la comprensione del contenuto e delle espressioni sulla 'libertà di coscienza' del ma­gistero pontificio lungo il secolo XIX e fino alla promulgazione della di­chiarazione Dignitatis humanae al termine del Concilio Vaticano II. È un fatto innegabile che i Papi, nel contesto della modernità, hanno condannato il sistema di 'libertà di coscienza e di culti' nato dalla Di­chiarazione francese del 1789. Si trattava però - in questa sede si può solo precisarlo - di opporsi fer­mamente all’affermazione del­l’autonomia assoluta dell’indivi­duo e della società nei confronti di Dio e della Sua Chiesa, ma il Ma­gistero non negò all’uomo nei con­fronti dello Stato la libertà nella ri­cerca della verità (Cf. G. Del Pozo Abejón, La Iglesia y la libertad religiosa, BAC, Madrid 2007, 133). La situazione cambiò profonda­mente con la promulgazione del­la dichiarazione Dignitatis huma­nae. Quali sono le novità fonda­mentali dell’insegnamento conci­liare? Il Concilio, alla luce della ret­ta ragione confermata e illumina­ta dalla divina rivelazione, non si riferisce genericamente, in quel contesto, alla libertà morale nei confronti della verità o di un valo­re, ma alla libertà giuridica nel­l’ambito dei rapporti tra le perso­ne e nella vita sociale. Si tratta, i­noltre, di un diritto negativo che stabilisce adeguatamente i limiti dello Stato nell’ambito della libertà religiosa, ambito in cui lo Stato e i poteri civili non hanno compe­tenza diretta. Così inteso il diritto alla libertà religiosa implica l’im­munità di coazione in un duplice senso: l’uomo ha diritto a non es­sere costretto ad agire contro la sua coscienza e a non essere impedito ad agire in conformità con essa. L’affermazione della libertà reli­giosa crea così «una zona di sicu­rezza che garantisce l’inviolabilità di uno spazio umano» (Ibid., 219). Il limite al­l’esercizio di questo diritto viene posto in riferimento «all’ordine pubblico informato a giustizia» (DH 2). In questo modo, con la dichiara­zione conciliare venne superata la dottrina classica della tolleranza per riconoscere che «la persona uma­na ha il diritto alla libertà religio­sa», e che tale diritto « perdura an­che in coloro che non soddisfano l’obbligo di cercare la verità e di a­derire ad essa » (DH 2). A dire di Niko­laus Lobkowicz, già rettore della U­niversità di Monaco di Baviera e pre­sidente dell’Università cattolica di Eichstätt, «la straordinaria qualità della dichiarazione Dignitatis hu­manae consiste nell’aver trasferito il tema della libertà religiosa dalla no­zione di verità a quella dei diritti del­la persona umana. Se l’errore non ha diritti, una persona ha dei dirit­ti anche quando sbaglia. Chiara­mente non si tratta di un diritto al cospetto di Dio; è un diritto rispetto ad altre persone, alla comunità e al­lo Stato» ( N. Lobkowicz, Il faraone Amenhotep e la Dignitatis Humanae, in Oasis 8 (2008) 17-23 , qui 18) .​
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