giovedì 21 aprile 2022
Domenica si celebra la festa ortodossa, le Chiese cristiane europee e ucraine hanno aderito all'appello del segretario generale Guterres. Si attende il parere del patriarca di Mosca Kirill
Un affresco gravemente danneggiato a Irpin, vicino Kiev, dai bombardamenti russi

Un affresco gravemente danneggiato a Irpin, vicino Kiev, dai bombardamenti russi - Reuters

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La forza della risurrezione contro la logica della morte. Il richiamo all’umanità per fermare il disumano ricorso alla violenza, in una tragica escalation che non risparmia neanche i bambini. Mentre l’offensiva dell’esercito di Putin cambia i perimetri della sua azione, cresce l’invito a una “tregua pasquale”. Il primo a parlarne era stato il Papa, lo scorso 10 aprile, Domenica delle Palme.

«Una tregua – aveva spiegato all’Angelus – per arrivare alla pace attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente. Non per ricaricare le armi e riprendere a combattere: questo no. Infatti che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?». Parole chiarissime nella loro durezza che giorno dopo giorno hanno fatto breccia trovando nuove adesioni.

Come noto infatti la Pasqua ortodossa, almeno quella celebrata dalle Chiese che seguono il calendario giuliano, cadrà domenica prossima e proprio intorno a quella data si potrebbe realizzare un “cessate il fuoco” di almeno quattro giorni, da oggi al 24 aprile.

Questa la proposta del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, secondo cui «una pausa umanitaria fornirebbe le condizioni necessarie per soddisfare due imperativi cruciali: Il passaggio in sicurezza di tutti i civili disposti a lasciare le aree di attuale e previsto confronto, in coordinamento con il Comitato Internazionale della Croce Rossa, e la consegna sicura di aiuti umanitari salvavita alle persone nelle aree più colpite come Mariupol, Kherson, Donetsk e Luhansk».

Arrivato sul tavolo delle diplomazie e negli uffici delle Curie, il progetto ha incontrato molti distinguo russi e parecchi sì sul fronte opposto. Favorevole il Consiglio panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose che ha spiegato la sua posizione al sottosegretario Onu Martin Griffiths cui è stato anche chiesto un’azione più incisiva delle Nazioni Unite per porre fine alla guerra. Convinto anche il sì dell’arcivescovo maggiore di Kiev Sviatoslav Shevchuk, che ne parlato telefonicamente con lo stesso Guterres.

«Tutte le Chiese – ha detto il presule greco-cattolico – sono pronte a unirsi all’organizzazione di questi corridoi umanitari, così come all’evacuazione delle persone da luoghi pericolosi e alla consegna di beni umanitari dove è più necessario».

Per fare la pace, o almeno per sospendere il conflitto, occorre però essere almeno in due. Anche in campo religioso. Si tratta cioè di vedere quale sarà le reazione dellla Chiesa ortodossa russa, la cui posizione è stata finora di sostanziale appoggio e in alcuni casi di aperto sostegno al conflitto.

Un atteggiamento che il Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) di cui il patriarcato di Mosca fa parte, chiede di cambiare. In una lettera, la seconda dopo quella, infruttuosa, del 2 marzo scorso, il reverendo Ioan Sauca, segretario generale ad interim dell’organismo interconfessionale ha invitato il patriarca Kirill a «chiedere pubblicamente un cessate il fuoco durante il servizio della Risurrezione».

Si tratta del momento iniziale della liturgia pasquale ortodossa, che scocca alla mezzanotte del sabato santo, quest’anno il 23 aprile. La tregua, quindi, scatterebbe più tardi e potrebbe avete anche una durata più breve. Si tratta di «intervenire e chiedere pubblicamente un cessate il fuoco per almeno alcune ore – scrive Sauca – per dare modo ai soldati e ai civili atterriti di abbracciarsi e salutarsi con il saluto pasquale, per far tacere per un momento le bombe e i missili e ascoltare invece il suono trionfante delle campane della chiesa e della fede. Possa un cessate il fuoco così breve essere un assaggio e una prova che si può raggiungere una pace duratura».

Perché la riconciliazione cresce costruendola. E la pace è un lavoro da artigiani, chiede l’impegno di mente e cuore. Si tratta di decidere se impegnarli, rischiando in proprio. O se, viceversa, aspettare la vittoria del più forte, perchè più armato, anche a costo di chissà quanti ancora morti innocenti.

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