martedì 11 aprile 2017
L'arcivescovo: l’amore di un uomo e di una donna non è fatto privato ma storia stessa del mondo. «Papa Francesco non benedice le ferite, le guarda in faccia, ma per guarirle»
Paglia: La svolta di Amoris laetitia? Tutta la Chiesa sia famiglia
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La novità autentica di Amoris laetita non è la richiesta di rafforzare la pastorale familiare, ma la volontà di trasferire lo stile familiare a tutta la pastorale della Chiesa. Così l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita e gran cancelliere dell’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, sintetizza il significato dell’Esortazione postsinodale a un anno dalla pubblicazione.

Purtroppo in questi primi 12 mesi il dibattito concentrato quasi esclusivamente sul capitolo ottavo. Anzi, su una nota, l’ormai famosissima n.351. Che opinione si è fatto di questo “accanimento”?
Forse proprio l’“accanimento” ha portato difficoltà nel comprendere il testo. C’è poi da dire che la stragrande maggioranza del popolo di Dio ha accolto il testo con entusiasmo. E sappiamo tutti che la ricezione dei fedeli (è il sensus fidei fidelium) è un pilastro della tradizione della Chiesa. Certo, si può capire la concentrazione sulla famosa nota per i problemi pastorali che può suscitare. Ma bloccarsi su questo impedisce di cogliere il valore di un testo che il Papa ha arricchito ma che è stato il frutto di un lungo cammino sinodale. Se non si coglie il valore del testo è difficile capire non solo la nota ma anche l’intero capitolo VIII. Il Papa – e il Sinodo – non hanno dato nuove disposizioni giuridiche. Hanno voluto ridare ai pastori la loro responsabilità di pastori. Certo debbono esercitarla dentro un contesto comunitario. Quindi, niente “fai da te”. Ma, appunto, discernere, accompagnare e integrare.

Così altri aspetti dell’Esortazione sono rimasti in ombra. Se dovessimo “ricominciare da capo”, quale parte di Amoris laetitia dovremmo mettere in luce con maggiore evidenza?
Vorrei sottolineare due aspetti decisivi. Il primo riguarda il cambio di passo e di stile che il testo esige dalle comunità ecclesiali. La Chiesa deve essere essa stessa una famiglia. Quanto c’è da fare in questo senso! Solo una Chiesa che è essa stessa famiglia saprà comprendere le famiglie, accompagnarle, curarle e guarirle. Una Chiesa che è madre non giudica per condannare. E non vuole perdere nessuno dei suoi figli. Papa Francesco non benedice le ferite, le guarda in faccia, ma per guarirle. Chiede a tutti di usare la medicina della misericordia, non il bastone della condanna, come diceva Giovanni XXIII. E raccomanda la gradualità e la pazienza proprie di Dio. In sintesi il Papa chiede non tanto di rafforzare la pastorale familiare quanto di imprimere a tutta la pastorale della Chiesa uno stile familiare.


E il secondo aspetto?
Il secondo aspetto che caratterizza l’impianto del testo è la visione strategica con cui il Papa guarda la famiglia. Non la considera come una vicenda che riguarda alcuni individui e i loro desideri di amore (ovviamente legittimi), bensì come una vicenda che riguarda la storia stessa del mondo. La famiglia, in certo modo, è la madre di tutti i rapporti. L’alleanza tra l’uomo e la donna non è un fatto privato. È pubblico. Anzi, ha un valore storico, come ci ricorda il libro della Genesi: Dio affida all’alleanza dell’uomo e della donna la cura del creato e la responsabilità delle generazioni. Quando vanno bene le cose tra l’uomo e la donna, va bene anche la società. La famiglia è la risorsa più importante delle nostre società.


È dunque d’accordo con chi ritiene che le chiavi di lettura dell’Esortazione sono soprattutto la misericordia e la storia, la seconda intesa soprattutto come necessità di inserire la propria storia di vita in un dinamismo spirituale?
Certamente. Potremmo dire che l’anno giubilare della misericordia è stata la chiave d’oro per leggere Amoris laetitia. E la chiave storica è a questo legata. Le famiglie così come sono vanno avvici- nate accompagnate a vivere l’ideale evangelico. All’Accademia per la vita, per fare un esempio, vorremmo sottolineare la dimensione dell’accompagnamento alla vita, non alla vita in astratto, ma alle persone nelle diverse età della loro vita, inizio, infanzia, adolescenza e così oltre sino al termine dell’esistenza terrena. La famiglia è il luogo privilegiato ove le età della vita sono chiamate a convivere e ad accompagnarsi.

Corretto pensare che l’originalità di Amoris laetitia è concentrata soprattutto sui capitoli IV e V sui quali papa Francesco non cessa di richiamare l’attenzione?
In effetti, essi formano la parte centrale della Esortazione Apostolica. E mettono in luce le due dimensioni dell’amore familiare: il legame d’amore tra un uomo e una donna e la fecondità generatrice che ne consegue. Nel capitolo IV il Papa, per parlare di questo amore, non commenta il Cantico dei Cantici, bensì l’inno alla carità di san Paolo ( 1Corinzi 13). L’amore di cui il Papa parla va ben oltre l’ideale romantico. È un amore pieno di concretezza e dialettica, di bellezza e sacrificio, di vulnerabilità e tenacia (tutto sopporta, tutto spera, tutto crede, tutto perdona, non cede mai…). Il testo allontana ogni concezione individualista dell’amore per aprirlo agli altri. In sintesi: l’amore non è solo “voler-bene”, è anche un “far-bene”.

Tra gli appelli che il Papa rivolge e che sono stati pressoché ignorati, c’è sicuramente la sollecitazione a non cadere «nella trappola di esaurirci in lamenti autodifensivi invece di suscitare una creatività missionaria». Non è una tendenza in cui, soprattutto sui temi della vita, cadiamo troppo spesso?
Assolutamente sì! È decisivo non cadere nel lamento. Piuttosto dobbiamo ricomprendere il senso della preparazione al matrimonio, che non può avvenire al di fuori della comunità cristiana. Così pure è indispensabile accompagnare le giovani coppie dopo il matrimonio. E anche qui riemerge l’indispensabile presenza della comunità cristiana anche del luogo ove si va ad abitare. Mi pare comunque che dovremmo preoccuparci molto di più del fatto che i giovani tendono a preferire la convivenza piuttosto che il matrimonio. E noi responsabili della pastorale dovremmo chiederci se il messaggio cristiano che offriamo sul matrimonio e la famiglia sia o non sia attrattivo. Sono questioni che dovrebbero interrogare ben più sia le comunità cristiane che le nostre società.

Questione gender. Nella sua nuova responsabilità di presidente dell’Accademia per la vita sta affrontando questo tema?
Certo. Siamo consapevoli che la cultura contemporanea ha creato nuovi spazi, nuove libertà e profondità per l’arricchimento della comprensione della differenza tra uomo e donna. Ma ha anche introdotto molti dubbi e molto scetticismo al riguardo. Stiamo preparando uno studio su questo, anche perché c’è molta superficialità. Mi chiedo, ad esempio, se alcuni esiti ideologici della teoria del gender non siano anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione di fronte alla ricchezza che la differenza rappresenta per la società. La semplificazione, che è ben più semplice del confronto con la differenza, rischia di farci fare un passo indietro. Infatti, la rimozione della differenza sessuale è il problema, non la soluzione. Certo non dobbiamo disertare questo tema. Ma è la gestione della differenza - non la sua abolizione - che favorisce una società più libera e più giusta.

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