mercoledì 30 marzo 2016
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L’arcivescovo Nosiglia in visita ai carcerati: ciò che conta è la conversione TORINO La lettura della Passione e morte di Gesù, dietro le sbarre del carcere, se è possibile, si carica ancora più di sofferenza perché in quel brano del Vangelo tutto richiama alla situazione di chi è ristretto. Così l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, che nei giorni scorsi ha trascorso un intero pomeriggio con i detenuti dell’Istituto penitenziario cittadino 'Lorusso e Cotugno' a ridosso della periferia nord nel quartiere delle 'Vallette', ha voluto richiamare come la condizione del carcerato non sia lontana da quella di chi è libero. Nelle due Messe celebrate prima nella cappella delle sezioni maschili, e poi in quella riservata alle detenute, Nosiglia ha incoraggiato tutti a non disperare mai, anche quando si pensa di essere stati condannati ingiustamente o quando la colpa è devastante. «Nessuno di noi - anche chi non è finito in carcere - può dire di non aver sbagliato – ha detto Nosiglia – non dimentichiamoci che il primo entrare in Paradiso con Gesù è un ladro, un uomo che riconosce la sua colpa e che chiede perdono e il Signore lo accoglie e lo salva». Parole che, soprattutto nella piccola cappella della sezione femminile (su circa 1.500 detenuti, le donne sono un centinaio, di cui 20 con i loro bambini), fanno rigare di lacrime tanti volti. Sono madri, anziane, straniere: tutte si tengono per mano mentre ascoltano l’arcivescovo, qualcuna appoggia il capo su una compagna. Più riservatezza durante la Messa con i detenuti, quasi la metà stranieri, ma anche qui gli sguardi si incrociano e si abbassano. Accompagnato dal cappellano don Alfredo Stucchi, l’arcivescovo ha incontrato in un colloquio personale anche alcune detenute in isolamento: per tutti un ramo d’ulivo, la lettera pasquale e l’invito a celebrare i giubileo come indica papa Francesco: giubileo ogni volta che chi è recluso passa la porta della propria cella: «Quello che conta – ha detto Nosiglia ai reclusi – non sono i gesti esterni, ma la conversione del cuore». La toccante visita al carcere torinese per gli auguri pasquali è stata preceduta da due tappe in altri luoghi cittadini dove si sperimenta il dolore. «Vogliamo spalancare la Porta del Giubileo anche in questo luogo speciale della misericordia di Dio che il Signore guarda e protegge » – le parole di Nosiglia pronunciate nel cortile dell’Ospedale Molinette di Torino, nosocomio di riferimento per tutto il Piemonte, dove ha presieduto la Messa nella chiesa interna, e ha poi visitato alcuni reparti tra cui quello dei detenuti ricoverati –. Nosiglia è stato accompagnato dal neo direttore della Pastorale diocesana della salute don Paolo Fini e, tra gli altri, dal direttore generale della struttura ospedaliera Gian Paolo Zanetta. L’arcivescovo ha presieduto anche il pellegrinaggio giubilare alla Porta Santa aperta nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, il Cottolengo, con 200 tra volontari e ospiti dei diversi servizi di carità attivi in diocesi tra cui alcune persone senza fissa, accompagnati dal direttore della Caritas Pier Luigi Dovis. «Il senso del pellegrinaggio per chi è in difficoltà – ha indicato l’arcivescovo – ha un valore non solo materiale: è l’attenzione che la Chiesa Madre vuole porre a tutto l’uomo. L’attenzione alla vita spirituale anche nei momenti di difficoltà può dare speranza». Ai volontari l’arcivescovo ha indicato come esempio i santi sociali come «uomini e donne misericordiosi come il Padre», attenti alle sofferenze di chi bussa alle porte delle nostre parrocchie. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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