sabato 13 gennaio 2018
Il vescovo racconta i suoi primi 20 mesi in una diocesi profondamente mariana. «Vicini alle sofferenze della gente»
Il vescovo di Conversano-Monopoli, Giuseppe Favale, inaugura a Monopoli il centro “Una culla per la vita”, opera segno per tutelare la vita nascente (Albenzio)

Il vescovo di Conversano-Monopoli, Giuseppe Favale, inaugura a Monopoli il centro “Una culla per la vita”, opera segno per tutelare la vita nascente (Albenzio)

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Un anno e otto mesi in diocesi nel segno di Maria. Il vescovo di Conversano-Monopoli, Giuseppe Favale, ha avuto fin dal suo ingresso, avvenuto il 30 aprile 2016, una sicura “bussola” per il suo esordio episcopale: il IX centenario dell’arrivo dell’icona bizantina della Madonna della Madia. E non ha esitato a seguirla. Ha indetto un anno di celebrazioni, che si conclude proprio oggi; ha proclamato Monopoli (e di riflesso l’intera Chiesa diocesana) Civitas Mariae. E lo scorso 16 dicembre, al culmine delle celebrazioni mariane, ha lanciato una “provocazione”. «Quanto vorrei che Monopoli e tutte le città della diocesi divenissero Civitates caritatis, perché non si può essere mariani, senza mettersi a servizio dei più bisognosi». Così quella “bussola” continuerà a indicare il cammino della Chiesa locale anche oltre le colonne d’Ercole del IX centenario.

Monsignor Favale, che cosa ha significato per un vescovo di prima nomina come lei cominciare da Maria?
Un grande dono. Ho colto l’occasione del IX centenario della Madonna della Madia, per chiedere alla diocesi di ritornare alle proprie radici, avendo come modello Colei che per la Chiesa è prototipo. Ho voluto che fosse un tempo di riscoperta della nostra identità di popolo in cammino nella storia, chiamato ad ascoltare Dio e il vissuto della gente. Alla luce di questo, abbiamo fatto insieme la scelta di rilanciare la sinodalità come stile ecclesiale, valorizzando innanzitutto gli organismi di partecipazione. E questo mi ha permesso anche di entrare con gradualità, ma anche con profondo coinvolgimento, nelle singole realtà diocesane.

Per l’Anno mariano lei ha scelto l’icona biblica della Visitazione. Quale messaggio ha voluto trasmettere?
In questa pagina evangelica ritroviamo l’identità della Chiesa, che mentre si apre all’ascolto di Dio, nello stesso tempo, come Maria si mette in cammino per andare incontro alle persone nel concreto delle loro esistenze. La Madonna, che da Nazaret va a servire la parente Elisabetta, è l’immagine di quella Chiesa “in uscita”, a cui ci provoca papa Francesco. La stessa cosa è accaduta a noi nove secoli fa. La Madonna della Madia è venuta a Monopoli dal mare in un momento di necessità – mancavano le travi per costruire il tetto della Cattedrale e la zattera fornì quelle travi – e si è fermata tra noi offrendoci il servizio della sua preghiera. Come Lei, anche noi dobbiamo metterci in cammino per andare lì dove c’è una situazione che chiede i gesti concreti della carità. Vorrei, infatti, che non ci si fermasse solo ai momenti devozionali. Al contrario, la devozione deve farsi carità nella vita di ogni giorno. E così le nostre città diventeranno luogo dove l’amore si fa tangibile e concreto, abbracciando tutte le situazioni di bisogno.

Quali sono queste situazioni?
Al primo posto metterei il vasto mondo giovanile. Grazie a Dio in diocesi c’è una bella esperienza di pastorale giovanile, ma ci sono ancora emergenze ed occorre investire di più nei segni della carità verso questo universo variegato. Ho lanciato la proposta di incontrare i giovani in un dialogo diretto, immediato, fraterno, perché vorrei che da questi momenti di ascolto reciproco nascessero nuovi cammini di condivisione. Cominceremo già in questo mese di gennaio, quando avrò incontri con gli studenti di alcune scuole. C’è poi la realtà dell’emarginazione: persone sole, anziani, immigrati, famiglie che vivono nel disagio economico e sociale. Nei loro confronti, pur avendo già avviato diverse iniziative con la Caritas, dobbiamo fare ancora di più.

Ci sono anche situazioni di povertà spirituale e ateismo pratico?
L’ho giusto evidenziato nel discorso del 16 dicembre scorso al porto di Monopoli, sottolineando che anche da noi c’è chi si professa cristiano a parole, ma poi si comporta come se Dio non esistesse. Nella nostra diocesi si è molto lavorato nella formazione cristiana e ringrazio il Signore perché vedo che ci sono tanti laici ben preparati. Nello stesso tempo, c’è una quantità di “lontani” che richiede maggiore attenzione missionaria. Stiamo lavorando con diverse proposte di catechesi, rilanciando soprattutto i percorsi di iniziazione cristiana. In particolare, vogliamo valorizzare ai fini della nuova evangelizzazione la potenzialità formativa del-l’arte, di cui le nostre città sono ricche.

La sua diocesi è infatti una ambita meta turistica: i trulli di Alberobello, le grotte di Castellana, il mare di Monopoli e Polignano. Come guarda da pastore a questo fenomeno?
È davvero una grande potenzialità. Ritengo sia uno dei settori sui quali si debba investire pastoralmente di più. L’arte parla di fede, perché aiuta a cogliere come la genialità umana ha dato corpo alla Parola di Dio nel corso della storia. E poi bisogna offrire accoglienza verso che arriva. Penso ad iniziative da promuovere a favore dei tanti ospiti di passaggio, soprattutto nel periodo estivo, ma anche a proposte rivolte in modo specifico ai “ricomincianti”, per aiutarli a riscoprire una fede sopita o soffocata da particolari condizioni di vita. Lavoreremo dunque in questa direzione, per raggiungere il cuore delle persone.

Il Papa si è dimostrato attento al percorso mariano della diocesi con l’invio del cardinale Monterisi per le celebrazioni del 16 dicembre 2017. Che cosa ha significato questa presenza?
La nostra diocesi guarda con immenso amore a papa Francesco e lo ringrazia per il suo gesto di affetto paterno, manifestato attraverso la presenza del cardinale Monterisi. Recentemente abbiamo avuto due opportunità per incontrarlo, ricevendo il dono della sua parola, in occasione dei pellegrinaggi diocesani organizzati sia durante il Giubileo della misericordia, sia per il IX centenario, a ottobre scorso. Avvertiamo la gioia di essere guidati da lui, anche se a volte si ha l’impressione che il Papa sia più avanti rispetto a noi, che camminiamo più lentamente. Ma proprio questo ci sprona ad alzare il passo, per essere all’unisono con lui.

Lei è stato anche educatore nel Seminario regionale di Molfetta. Come vede la situazione delle vocazioni in Puglia e in diocesi?
Grazie a Dio, il nostro Seminario regionale è numericamente tra i primi in Italia. Anche la qualità dei chiamati è molto buona, come ho potuto constatare negli anni in cui sono stato direttore spirituale. Tuttavia iniziano ad avvertirsi anche da noi i primi segnali di una contrazione numerica, e ciò dà qualche preoccupazione. La nostra diocesi al momento ha sei giovani al Seminario Maggiore e 12 ragazzi al Minore. Non sono pochi ma nemmeno tanti, per una diocesi di 256mila abitanti con 56 parrocchie. Certamente ringrazio il Signore per la presenza di queste nostre giovani speranze, e tuttavia non mi stanco di chiedere alle parrocchie di investire di più, osando proposte forti da offrire ai giovani. In questo percorso, un servizio prezioso lo rendono gli uffici di pastorale giovanile e vocazionale, che offrono momenti di preghiera, di ascolto, di dialogo, di discernimento organizzati per differenti fasce di età. Un lavoro lungo e impegnativo, certo, ma che nel tempo potrà portare i frutti desiderati.

In definitiva chi si augura di portare idealmente sulla zattera della Madonna della Madia?
Certamente l’intera Chiesa diocesana, perché continui a camminare con Maria e come Maria, avendo una cura particolare per le situazioni più bisognose di attenzione. Come vorrei portare tutti i dolori di chi vive su questo territorio. Penso a chi è disperato per la mancanza di lavoro, a chi soffre per le fragilità dei rapporti familiari, a chi sperimenta l’emarginazione e la solitudine, a chi ha perso il gusto della vita. Sicuramente ogni dolore lo faccio mio e come pastore lo porto quotidianamente nella preghiera. Ma è necessario tradurre il tutto in gesti concreti di vicinanza. Insieme agli operatori pastorali, che sono tanti e di qualità, mi piacerebbe raggiungere le persone nei loro contesti di vita per far sentire il calore di una presenza amica e per trasmettere la carezza della speranza cristiana, che è certezza di un Dio che ama e che mai ci abbandona.


CHI E'
Giurista pugliese di 57 anni, sempre attento alle vocazioni

Monsignor Giuseppe Favale è nato a Palagiano (diocesi di Castellaneta) il 29 febbraio 1960. Sacerdote dal 1985, ha ricoperto diversi incarichi nella sua diocesi, tra i quali vicario generale e amministratore diocesano, durante la vacatio della Sede. Laureato in utroque iure alla Lateranense, è stato anche direttore spirituale al Seminario regionale di Molfetta. Il Papa lo ha nominato vescovo di Conversano-Monopoli il 5 febbraio del 2016. È stato ordinato il successivo 9 aprile.

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