mercoledì 30 aprile 2025
Parla il gesuita 78enne prefetto uscente del Dicastero per lo sviluppo umano integrale: «Il nuovo Papa sarà sulla scia di Francesco. Le politiche contro i migranti, prodotto del peccato»
Il cardinale gesuita Michael Czerny

Il cardinale gesuita Michael Czerny - Siciliani

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«Non bisogna avere paura della realtà. Il Vangelo va portato a tutti, senza temere di sporcarsi le mani». Il cardinale Michael Czerny racconta una delle «caratteristiche del pontificato di papa Francesco», come le definisce. E ne fa una delle rotte per il nuovo Pontefice. «No, il prossimo Papa non sarà Francesco II – dice rispondendo alla domanda sul nome che potrebbe scegliere il futuro Pontefice –. Sarà sicuramente il successore di Pietro, magari sulla scia di papa Francesco il cui magistero ha già una validità permanente». Il porporato è prefetto uscente del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, visto che la sua carica è formalmente decaduta con la morte del Papa. Lui migrante come i migranti che sono uno dei temi al centro dell’agenda e dell’impegno del nuovo dicastero. Infatti con la sua famiglia aveva lasciato l’ex Cecoslovacchia, dove Czerny è nato 78 anni fa, e si era trasferito in Canada. Le politiche contro i migranti sono «prodotti dei peccati umani – spiega ad Avvenire –. Gesù, come lui stesso ha evidenziato all’inizio del suo ministero pubblico, è venuto per liberare i prigionieri e per portare il lieto annuncio ai poveri. Una liberazione che è insieme spirituale e fisica. Questo è il cuore del Vangelo». Gesuita come papa Bergoglio, indica nella «grazia di essere veramente liberi nel rispondere alla volontà di Dio la più autentica qualità ignaziana del pontificato di Francesco. Liberi dai condizionamenti, dai poteri delle tenebre, dalla nostra stessa oscurità».

Eminenza, quale Chiesa consegna papa Francesco al mondo?

«Una Chiesa in uscita e ben solida. È ormai superata l’idea che debbano essere le donne o gli uomini del nostro tempo ad avvicinarsi alla comunità ecclesiale. Serve invece essere una Chiesa che si scomoda andando incontro a tutte le persone, qualsiasi sia la loro situazione o il loro bisogno, e annunci il Vangelo».

Lei è stato inviato in Ucraina e Libano per sostenere le popolazioni provate dalla guerra. Francesco è stato il Papa che ha gridato pace al mondo.

«Il modo in cui la Chiesa contribuisce alla pace si evolve nel tempo. E papa Francesco ci ha indicato nel dialogo la via per risolvere i conflitti, siano essi di vasta o di ridotta scala. Può sembrare un’arma debole, ma in realtà è l’unica veramente efficace. Credo, quindi, che la Chiesa continuerà non solo a promuovere il dialogo, ma ritengo anche che sarà pronta ovunque a facilitarlo e ad accompagnarlo. Per quanto riguarda il versante umanitario, la comunità ecclesiale non è che deve sentirsi “vicina” a un popolo martoriato ma è già “con” e “in mezzo” a tale popolo.

Lei ha guidato un nuovo Dicastero vaticano, frutto della riforma della Curia Romana voluta da papa Francesco. Una riforma da completare?

«Certamente. Non riesco a immaginare un Papa che pensi di realizzare una riforma così importante in pochi anni. È una riforma teologica, culturale e strutturale al tempo stesso. Perciò si tratta di un processo a lungo termine e sono persuaso che dovremmo valutarlo anche guardando alle lentezze o alle difficoltà incontrate da altre istituzioni quando attuano riforme così incisive».

Suor Alessandra Smerilli è il segretario uscente del suo Dicastero; suor Simona Brambilla prefetto uscente del Dicastero per gli istituti di vita consacrata; suor Raffaella Petrini, presidente uscente del Governatorato. Francesco ha voluto valorizzare il ruolo delle donne all’interno della Chiesa e della Curia Romana. Come proseguire?

«Ci sono già molte articolazioni della Chiesa, come per esempio ospedali o scuole, che hanno recepito il messaggio. Ed è positivo che questo cambiamento avvenga anche in Vaticano. Voglio dire che non è una riforma idiosincratica della Curia Romana, ma qualcosa che la Chiesa sta già in parte vivendo. Ed è anche semplicemente buon senso. Metà della popolazione e probabilmente più della metà dei nostri fedeli è costituto da donne. I loro talenti e il loro contributo sono essenziali e devono essere rappresentati a tutti i livelli. Su questo fronte non si può tornare indietro».

Quale lezione ci lascia papa Francesco sulla questione delle migrazioni e dell’accoglienza?

«Al centro non c’è il tema delle migrazioni. Il punto sono i migranti. È tempo di smettere di parlarne come di un problema astratto o di affrontarlo con inutili generalizzazioni che semplicemente ci deresponsabilizzano. Tutti possono contribuire a ciò che papa Francesco ci ha spesso ripetuto, ossia accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i più vulnerabili nella società. Questo è ciò che dobbiamo fare. Il resto è, nella migliore delle ipotesi, frutto di cattiva gestione del fenomeno o, nella peggiore, di manipolazioni».

C’è chi dice che papa Francesco ha voluto una Chiesa che guarda troppo al sociale, quasi una ong. Che cosa risponde?

«Credo si tratti di una distorsione poco felice: ad esempio basta leggere Dilexit nos, l’enciclica del 2024 sull’amore umano e divino del cuore di Gesù. Lungi dall’essere una contraddizione, la nostra fede e l’amore per Dio non sono astratti, ma si esprimono insieme alla cura per chi ha bisogno».

La Laudato si’ sulla cura della casa comune è stata un’enciclica che ha fatto discutere per le prese di posizioni forti, anche contro il capitalismo selvaggio e lo sfruttamento.

«In ogni Messa, quando recitiamo il Credo, affermiamo che il Signore è “creatore del cielo e della terra”. Quindi attestiamo che tutta la creazione è un dono di Dio. L’unico modo con cui si può veramente esprimere il nostro apprezzamento è prendersene cura».

Diaconato femminile, Comunione ai separati risposati, apertura alle benedizioni per coppie “irregolari” comprese quelle omosessuali sono questioni emerse nel pontificato di Francesco. E ora?

«Certo, queste sono realtà, come tante altre questioni differenti, che interessano diverse parti del mondo: non occorre temerle. Devono essere gestite in modo sinodale e paziente».

C’è chi ritiene che una sinodalità “spinta” rischi di minare il ruolo dei vescovi.

«No, non è vero. È vero esattamente il contrario. La sinodalità aiuta il vescovo a compiere la sua missione nella Chiesa con il supporto dei carismi di altre vocazioni. Nessuna contraddizione».

Il Conclave comincia il 7 maggio. L’attuale Collegio cardinalizio abbraccia davvero il mondo. Una ricchezza o troppe sensibilità diverse?

«La domanda di partenza deve essere questa: perché la nostra Chiesa include così tante persone diverse? La risposta è che Gesù ci ha detto di andare a predicare il Vangelo a ogni creatura. Quindi il Collegio cardinalizio riflette la fisionomia della Chiesa: direi, grazie a Dio che ciò avviene. E sono convinto che con il tempo sarà ancora più rappresentativo di ogni angolo della terra».

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