Bruno, la promessa tradita che ci inquieta
L'accoltellamento del giovanissimo campione di calcio a poche ore dal Natale non può lasciarci indifferenti: come educhiamo i nostri figli? Non arrendiamoci, mai

Il male va denunciato – ad alta voce e in tutti i modi - per amore del bene. Chi non lo fa, chi finge di non vedere, non sentire, e, di conseguenza, si guarda bene dal parlarne, pecca di omissione. Napoli è bella. Bella e tormentata. In questi mesi celebra i suoi 2500 anni di età. Tante le iniziativi a livello politico, culturale, artistico. In questo periodo i turisti che affollano le strade sono talmente tanti da creare non pochi disguidi ai residenti. «Se la gente viene vuol dire che non ha paura; vuol dire che Napoli è sicura», si sente ripetere da qualcuno.
Ma, è proprio vero? Eccola qui la domanda che mette paura ma che non possiamo sottacere. Inutile è anche – come spesso accade – il confronto con altre città italiane o europee. A noi non interessano i numeri ma le persone. Persone con un nome, un volto, una storia, una famiglia. Penso in questo momento – solo per fare qualche nome - a Giogiò Cutolo, a Francesco Pio Maimone, a Santo Romano. Sono morti senza nemmeno capire perché. Uccisi, inutilmente, stupidamente. Loro se ne sono andati ma per chi li amava la notte del dolore e della rabbia fa fatica a scrutare l’alba. Non solo. Ma che ne è stato dei loro giovani assassini? In carcere. Alcuni all’ergastolo. Possiamo dirci soddisfatti? Macché. Doppio sconcerto, invece. Nessuna consolazione se gli accoltellamenti che avvengono a Napoli trovano riscontri anche a Parigi, a Milano o a Strasburgo. Al contrario, potrebbe rivelarsi una sorta di comodo paravento. Come a dire: queste cose accadono dappertutto, quindi, meglio tacere per non rovinare l’immagine della città e incidere negativamente sul turismo. Ragionamento da bocciare.
A Napoli, nella notte di Santo Stefano, un ragazzo appena maggiorenne è stato accoltellato. Gli è stata asportata la milza. Bruno – questo il suo nome – è una promessa del calcio. I suoi genitori da Minturno si erano trasferiti in città per evitagli continui spostamenti. Il calcio per Bruno è tutto. La prima domanda che, con fatica ha farfugliato, appena sveglio è stata: «Potrò continuare?» Già, potrà continuare a giocare, Bruno? O quelle due maledette coltellate hanno messo fine ai suoi sogni? Bruno, come già accennato, non è il primo a sperimentare questa violenza bieca, balorda e senza senso. Occorre parlarne. Per il bene della città, occorre parlarne. Per il bene dei nostri ragazzi, occorre parlarne. Per amore di verità, occorre parlarne. Il peggio, però, non è ancora finito. Perché il moderno accoltellatore – ancora una volta! - è un ragazzino di soli 15 anni, spalleggiato da quattro “amici” diciassettenni. Tutti minorenni, quindi. Minorenni con il coltello in tasca. Ma da dove proviene questo malessere esistenziale in dei quasi bambini a poche ore dal Natale? Quindici anni. Tre lustri. Evitando di impelagarci in cavilli giuridici, con la sapienza dei nonni, vogliamo chiederci: ma a quindici anni dove ha trovato il coraggio questo “marmocchio” per infilare una lama affilata nell’addome di un giovane? I suoi genitori – leggiamo - sono persone “normali”, non hanno legami, cioè, con la malavita. La cosa non ci tranquillizza per niente. Al contrario. Sì, perché è proprio questa “normalità” che inquieta. Come da copione, il quindicenne adesso “chiede scusa”. Come se avesse involontariamente dato una gomitata a un passante sul marciapiede.
Signori, bando ai campanilismi. Lasciamo stare le brutte o belle figure. Lasciamo stare Nord e Sud. Siamo tutti sulla stessa barca. Se affonda, anneghiamo tutti. C’è da preoccuparsi seriamente. Ci siamo accorti che tanti nostri figli non sanno più divertirsi? O se ne stanno a casa da soli con la loro “fata turchina”, che gli obbedisce in tutto, o hanno bisogno di aggregarsi in bande rivali per farsi male. Senza gettare la croce sulle spalle di nessuno, occorre prendere atto che la situazione potrebbe sfuggirci dalle mani. Non si può morire con un coltello piantato nell’addome da un quindicenne per una futile questione. Non si può rimanere invalidi per il resto della vita per uno sguardo dato involontariamente a una ragazza. E smettiamola una buona volta di cercare responsabili da tutte le parti fuorché in famiglia. Ricordiamoci che è in famiglia che impariamo a balbettare le prime parole, a fare i primi passi, a recitare le prime preghierine, a distinguere il bene dal male. La scuola, la Chiesa, la società vengono dopo. Non abdichiamo a questa missione unica, importante, soddisfacente. Preoccupiamoci dell’educazione dei nostri figli. Andarli a visitare in carcere o al camposanto è insopportabile. Corriamo ai ripari. Adesso. Facciamolo insieme. Evitiamo altre inutili sofferenze. Buon anno.
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