lunedì 11 aprile 2022
Forse in Medio Oriente a giugno. Ma cresce il fronte del no, anche interno, al patriarca di Mosca. 191 sacerdoti ortodossi firmano per fargli causa
Il patriarca di Mosca Kirill

Il patriarca di Mosca Kirill - Patriarchal Press Service / Oleg Varaov / Reuters

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Malgrado le sollecitazioni “ecumeniche” a prendere le distanze da Putin, a dispetto di una critica interna che pur timidamente cresce, Kirill non cambia strategia. Anzi ribadisce la legittimità dell’azione armata contro l’Ucraina, nel segno di un legittimo meccanismo di difesa della Russia a suo dire minacciata nella propria sicurezza. Molto chiaro in proposito il sermone di domenica scorsa. Nella Chiesa dell’Intercessione in Fili, il patriarca di Mosca e di tutte le Russie ha richiamato i fedeli all’unità. «In questo periodo difficile per la nostra patria – ha detto Kirill – possa il Signore aiutare ognuno di noi a unirci, anche attorno al potere. Così – ha continuato – emergerà la vera solidarietà nel nostro popolo, così come la capacità di respingere i nemici esterni e interni e di costruire una vita con più bene, verità e amore».


Una posizione in linea con i precedenti interventi, a partire dall’omelia del 6 marzo quando Kirill aveva evocato una natura metafisica della lotta contro l’occidente delle false libertà e del peccato ridotto a semplice variazione del comportamento umano, come dimostrano «le parate gay». Dichiarazioni che hanno creato sconcerto anche all’interno del mondo ortodosso legato a Mosca. In particolare un gruppo di sacerdoti della Chiesa ucraina rimasta fedele al patriarcato russo dopo l’autocefalia dell’altra comunità ucraina nel 2018, vorrebbe intentare causa contro il patriarca presso il Consiglio dei primati delle antiche Chiese orientali. Al momento, secondo l’agenzia l’Ukrainska Pravda, l’appello sarebbe stato sottoscritto da 191 presbiteri ma il numero è destinato a crescere. Caldo anche il fronte del “no interconfessionale” in cui avanza l’ipotesi di un’espulsione del Patriarcato di Mosca dal Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec), organismo di cui fanno parte 349 membri, in particolare di tradizione protestante, anglicana e ortodossa.

«Ci sentiamo tutti arrabbiati, frustrati, delusi e, umanamente ed emotivamente, tendiamo a prendere decisioni immediate e radicali – ha detto all’agenzia Sir il reverendo Ioan Sauca segretario generale ad interim del Cec –. Tuttavia, come seguaci di Cristo, ci è stato affidato il ministero della riconciliazione e dell’unità. Come Cec siamo chiamati a essere una piattaforma di incontro, dialogo e ascolto anche se e quando non siamo d’accordo». Una decisione è comunque demandata al Comitato centrale che si riunirà dal 15 al 18 giugno per preparare la XI Assemblea generale, in programma a Karlsruhe dal 31 agosto all’8 settembre. Sullo sfondo, a conferma dell’intenzione di non tagliare il filo del dialogo, il possibile incontro tra il Papa e Kirill. Di ritorno da Malta il Pontefice aveva evocato come sede il Medio Oriente, ipotesi rilanciata domenica dal metropolita Hilarion.

Durante il programma tv "Chiesa e Mondo", sul canale Russia 24 il capo del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca ha infatti sottolineato che per il colloquio si pensa a un territorio in cui «la popolazione cristiana abbia bisogno di sostegno. Quindi, ovviamente, il Medio Oriente è una delle aree prioritarie», ma non si può ancora parlare di date e località «perché il tutto è in fase di elaborazione». Sul versante cattolico, fonti non ufficiali indicano come luogo Gerusalemme, che il Papa raggiungerebbe dal Libano a conclusione della sua visita, ancora non ufficializzata, nel Paese dei cedri e come giorno il 14 giugno.

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