sabato 10 marzo 2018
Kasper sul pontificato di Bergoglio: trova resistenze perché è sui passi di Gesù. Il fatto che sia stato il primo Papa ad aver scelto il nome di Francesco lo collega a Francesco d’Assisi ...
Kasper: Francesco profeta di misericordia per il mondo
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È dedicato al quinto anniversario del pontificato di papa Francesco, lo studio del mese proposto sul nuovo numero della rivista Il Regno. A firmarlo è il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, uno dei più stretti collaboratori del Pontefice. Significativamente è intitolato «Vi annuncio un tempo» e va al cuore del magistero di Francesco, a partire da una delle sue parole chiavi: misericordia. A seguire, in anteprima, un ampio estratto della riflessione del porporato tedesco.

Avvicinandosi al quinto anniversario del pontificato di papa Francesco ci si chiede: qual è il messaggio centrale di questo pontificato, tanto ricco di gesti e di parole sorprendenti? Lo stesso Papa ha risposto in questi termini alla domanda di un giornalista, il 28 luglio 2013, sul volo da Rio a Roma: «Credo che questo sia il tempo della misericordia». Ha così menzionato una – se non la – parola base del programma pastorale del suo pontificato, e al tempo stesso ha fatto una diagnosi significativa del nostro tempo.

Ci troviamo in un periodo di transizione complesso o, come ha detto di recente, non si tratta solo di un’epoca di transizione e di rapidi cambiamenti in tutte le sfere della vita, ma di un «cambiamento d’epoca» (Veritatis gaudium, n. 3; Regno-doc. 5,2018,139), dell’avvento di una nuova era, dal Papa in modo profetico qualificata sorprendentemente come tempo della misericordia. Questa caratterizzazione del messaggio di papa Francesco come profetico, ovviamente, non ne vuole negare una specifica competenza teologica.

Il tempo come profezia
Nel linguaggio profetico biblico, che non parla solo con parole ma anche con gesti, per «tempo» non s’intende il tempo cronologico, quello che trascorre attraverso i giorni, le settimane, gli anni, inarrestabile, quello che tutto relativizza, bensì il tempo qualitativamente pieno nel senso del kairos biblico, secondo cui tutto ha il suo momento. C’è un tempo per nascere e morire, un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace (cf. Qo 3,1-8).

Da Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II si parla di «segni dei tempi», non intendendo appunto il tempo vuoto, che sfugge, ma quello escatologico del regno di Dio che arriva, sorge, irrompe (cf. <+CORSIVOA>Lc<+TONDOA> 12,56, Mt 16,3). In questo caso il tempo non è un futuro che incombe, ma un avvento che arriva. La fine del tempo escatologico non è un futuro lontano, alla fine dei tempi, ma è il tempo di Dio qui e ora. Per Dio è il tempo di grazia della venuta e della vicinanza di Dio, per noi è il tempo della decisione, della conversione e della fede. Se perdiamo o sprechiamo il tempo della grazia, allora diventa tempo del giudizio. Il discorso profetico non è una saggia previsione di eventi futuri, ma un annuncio del tempo; dice ciò che qui e ora si sta avvicinando; incoraggia, risveglia, scuote e invita alla conversione.

Quando papa Francesco parla di un tempo di misericordia offre una di queste interpretazioni profetiche del nostro tempo. È un messaggio di grazia per il nostro tempo, che a volte sembra così vuoto e irretito nella violenza e nel conflitto, ed è anche uno stimolo ad aprire i nostri cuori al Dio misericordioso e ai fratelli e alle sorelle nel bisogno. Perché questa parola che suona un po’ datata, misericordia, significa letteralmente «avere cuore (cor) per i poveri (miseri)».

Era già il messaggio centrale dell’Antico Testamento, e tanto più lo è di Gesù, che Dio è un Dio misericordioso. Gesù si è presentato con la buona notizia che «il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15); ha parlato di un anno di grazia del Signore (cf. Lc 4,19), e ha invitato alla conversione e alla fede per aprire i nostri cuori a Dio e ai poveri nel senso più ampio del termine: i materialmente poveri, i culturalmente e socialmente poveri, e anche quanti sono poveri spiritualmente, come chi è disorientato e interiormente vuoto, chi è oppresso dalla tristezza e dalla desolazione, chi si trascina pesanti sensi di colpa e pesanti fardelli e vive lontano da Dio.

Per molti questo messaggio di Gesù è diventato uno scandalo, una pietra su cui hanno inciampato e sono caduti (cf. Lc 4,27-30). Così Gesù è diventato un segno di contraddizione (cf. Lc 2,34). Se quindi papa Francesco proclama oggi il tempo della misericordia e, insieme a molti consensi, incontra obiezioni e resistenze, ciò non depone a suo sfavore, ma mostra che egli è nella sequela di Gesù.

A un Papa che rende attuale il messaggio di Gesù non può succedere nulla di diverso. Le obiezioni mostrano che è un vero profeta, il quale non dice come i falsi profeti «pace, pace!», «ma pace non c’è» (<+CORSIVOA>Ger<+TONDOA> 6,14). Si presenta come l’apostolo che «al momento opportuno e non opportuno» (<+CORSIVOA>2 Tm<+TONDOA> 4,2) dice qual è la questione e che cosa ne deriva di decisivo per l’oggi.

Radicale, cioè alle radici
Nella sua prima lettera apostolica programmatica del 2013, Evangelii gaudium, papa Francesco dice chiaramente che secondo lui tutto dipende dal Vangelo. Rimanda all’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975) di papa Paolo VI, durante il cui pontificato Jorge Mario Bergoglio ha acquisito la formazione teologica, che lo ha segnato in modo profondo, e ha ricevuto, nel 1969, l’ordinazione sacerdotale. Così pure, il fatto che sia stato il primo Papa nella storia ad aver scelto il nome di Francesco lo collega a Francesco d’Assisi, per il quale l’unica preoccupazione era di vivere il Vangelo sine glossa. Francesco è, non nel senso confessionale ma in quello originale della parola, un Papa evangelico, un Papa non liberale ma radicale, cioè un Papa che va alle radici.

Vangelo non è per lui un compendio di dottrine o un codice di norme morali, ma – come in Tommaso d’Aquino – è il dono dello Spirito Santo, che si manifesta nella fede, la quale agisce per mezzo dell’amore (cf. Evangelii gaudium, n. 37). Al centro del Vangelo c’è la misericordia. In Gesù Cristo il volto misericordioso del Padre è finalmente diventato per noi visibile, sperimentabile.

Nella misericordia Dio, incomprensibile e nascosto, che abita in una luce inaccessibile (cf. 1 Tt 6,16), si rivela a noi come amore auto-comunicante e generoso (cf. 1 Gv 4, 8), e, comunicandosi a noi attraverso lo Spirito Santo, ci è vicino in modo amorevole, aiutando e guarendo, perdonando, consolando, incoraggiando e sostenendo. Martin Lutero in una predicazione ha parlato di Dio come un forno ardente pieno d’amore.

Questo messaggio del Vangelo della misericordia di Dio oggi incontra un tempo di brutale e inumana violenza, da cui molte persone sono ferite nel corpo e nell’anima; un’epoca in cui molte vecchie certezze presunte collassano e il futuro si riempie d’incertezza; in cui molti sono pieni di paura e spesso non vedono più alcuna via d’uscita e alcun futuro; un momento in cui il dio denaro domina il mondo sotto forma di un capitalismo egemonico globalizzato, in cui l’amore si raffredda, l’individualismo e l’egoismo trionfano; un tempo d’indifferenza globalizzata per i milioni di persone che sono esclusi dalle benedizioni della civiltà e ne sono diventati in un certo senso lo scarto.

Il volto di Dio per molti si è oscurato. La frase di Friedrich Nietzsche «Dio è morto», spesso intesa anche come diagnosi di un’epoca, non significa che Dio non ci sia o non ci sia più, ma che non sembra più emanare da lui alcuna forza vitale. Dio è diventato indifferente ai tanti che vivono come se Dio non ci fosse (<+CORSIVOA>etsi Deus non daretur<+TONDOA>) (...).

Un Papa che ama (anche) il tango
Per papa Francesco la valorizzazione della coscienza umana, ogni volta unica nella nostra civilizzazione postmoderna e pluralista, ha conseguenze anche politico-sociali. Già il Concilio Vaticano II, dopo un lungo confronto, nella dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa ha ridefinito il posto e il ruolo della Chiesa nella moderna società pluralistica dopo la fine dell’epoca post-costantiniana. In questa dichiarazione il Concilio, come conseguenza del riconoscimento della dignità della coscienza personale, ha insegnato che le norme morali riguardano e vincolano le persone nella loro coscienza e sono riconosciute attraverso la mediazione della coscienza (cf. Dignitatis humanae, nn. 1, 3).

Nel frattempo nell’oltre mezzo secolo che è trascorso dal Concilio il mondo è ulteriormente cambiato in modo impressionante. La globalizzazione, i nuovi media, le migrazioni e, non ultima, la rapida e crescente urbanizzazione hanno reso la convivenza tra diverse religioni, culture e gruppi etnici una realtà quotidiana e una sfida alla pace. In questa situazione è un segno della Provvidenza che con papa Francesco sia salito al trono di Pietro il primo Papa che non proviene dal territorio dell’Impero romano, né dall’Europa e dal mondo occidentale, ma è cresciuto in una megalopoli dell’emisfero australe. Jorge Mario Bergoglio è cresciuto a Buenos Aires, respirando l’atmosfera di questa megalopoli fin da giovane, insieme ai film moderni, al teatro e alla musica.
In città come Buenos Aires, San Paolo, Città del Messico, New York, Tokyo, Manila e Il Cairo i contrasti sono accentuati: tra ricchi (o super ricchi) e poveri, tra i centri con moderni grattacieli d’acciaio e vetro e le misere periferie delle favelas, delle baraccopoli e dei sobborghi. In un’urbanizzazione che avanza rapidamente, il mondo globale sembra diventare sempre più un’unica, grande megalopoli globale.

Papa Francesco è consapevole della nuova situazione e delle conseguenze che ha per la pastorale. Sebbene abbia una grande sensibilità verso la pietà popolare, non coltiva una nostalgia dell’idilliaco piccolo villaggio rurale o della piccola città. La sua preoccupazione è la pastorale delle grandi città (cf. Evangelii gaudium, nn. 71-75).
In questo nuovo contesto non vuole una Chiesa che si occupi solo di se stessa e che si celebri in modo autoreferenziale, ma una Chiesa in movimento, una Chiesa in uno stato di missione permanente (cf. Evangelii gaudium, nn. 22-25). Tale pastorale missionaria include oggi più che mai l’incontro con altre culture e religioni e ci costringe a una riflessione approfondita sul dialogo interreligioso e interculturale, che sono importantissimi per la pace nel mondo odierno (cf. Evangelii gaudium, nn. 250-254).
Per papa Francesco la missione e il dialogo non sono la stessa cosa, ma sono intimamente legati. La missione non avviene attraverso il proselitismo, bensì attraverso l’attrazione (cf. Evangelii gaudium n. 14) e il dialogo non è sincretismo, confusione o un reciproco assorbimento, non è banale diplomazia e tattica, ma reciproca conoscenza e smantellamento di pregiudizi e incomprensioni. Ogni dialogo presuppone un terreno comune.

Dialogo e annuncio: nel cuore o nel corpo della Chiesa
Qui ancora una volta Francesco fa riferimento a un documento della Commissione teologica internazionale, Il cristianesimo e le religioni (1996), che evidenzia che il punto d’incontro tra le religioni è la coscienza personale di ogni uomo. Secondo il Vangelo di Giovanni il Logos, che nella pienezza dei tempi si fece carne (cf. Gv 1,14), era da sempre la luce degli uomini (cf. Gv 1,4).
Pertanto anche i non cristiani, che ascoltano la loro coscienza e seguono il comandamento fondamentale dell’amore secondo la Regola d’oro, che in una forma o nell’altra si trova in ogni religione, adempiono ciò che la Legge e i Profeti richiedono (cf. Mt 7,12; 22,40). Così anche i non cristiani nella loro coscienza sono guidati dallo Spirito di Dio, che lavora nel mondo anche al di fuori della Chiesa. Anch’essi sono coinvolti nella via di Dio con gli uomini, sono legati al mistero pasquale e possono trovare la salvezza eterna. Non appartengono al corpo visibile della Chiesa, ma al cuore della Chiesa.

Tale riflessione dà a papa Francesco un approccio teologico ampio e profondo al problema fondamentale della convivenza e della pace nel nostro mondo globalizzato e urbanizzato, e gli permette di farsi carico di un magistero universale, che lo rende con il suo messaggio profetico di misericordia un operatore di pace (Mt 5,9).

Nei suoi viaggi, in particolare in Asia, ha parlato dell’apertura del cuore, che è il requisito d’ogni cultura dell’incontro. Essa è la porta che ci permette d’imboccare il cammino di un dialogo non solo teorico, ma di un dialogo della vita. Questo dialogo è come una scala che raggiunge l’assoluto, in cui ogni passo rende il nostro sguardo più chiaro per capire e apprezzare gli altri.
Infine è un cammino che conduce alla ricerca della bontà, della giustizia e della solidarietà. Si ha l’impressione che in Francesco l’idea di armonia che deriva dalla teologia argentina e dalla cultura del popolo si avvicini molto all’idea di armonia e inclusione della cultura asiatica.

Con questo messaggio cattolico inteso in senso originale papa Francesco si è trovato tra due fronti all’interno della Chiesa: per un verso suscita le paure e le resistenze di un conservatorismo fondamentalista, per l’altro la sua visione delude molti riformisti liberali in Occidente. Il suo programma non è liberale, è radicale, va alla radice (radix). Ecco perché Francesco non parla di riforma, ma di conversione della Chiesa intera, dell’episcopato e, cosa da rimarcare per un Papa, del papato (cf. Evangelii gaudium, n. 32).
La traduzione di una visione profetica così radicale nelle forme istituzionali e in elaborazioni teologiche raffinate richiede tempo. Come con ogni profezia molto resta ancora aperto, alcune cose sono accennate solo in modo evocativo.

Tuttavia è sbagliato ridurre papa Francesco a un pragmatismo indifferente per la verità. Invece, nella sua più recente costituzione, la Veritatis gaudium uscita il 29 gennaio 2018, papa Francesco parla della gioia della verità, che sempre è molto più ampia di quanto tutti i concetti siano in grado di esprimere. In questo documento recente il Papa richiama l’intera comunità teologica accademica al dovere di chiarire teologicamente e approfondire la visione universale e concreta, e pertanto autenticamente cattolica.
Il desiderio di molte persone, dentro e fuori la Chiesa, per il quinto anniversario del pontificato di papa Francesco è comunque che Dio possa dargli ancora più tempo ed energie per completare la sua missione profetica.

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