giovedì 22 aprile 2010
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Otto anni come altrettanti anni luce. Nel mondo della comunicazione, da «Parabole mediatiche», convegno del 2002, a «Testimoni digitali», analogo appuntamento che si apre oggi a Roma, è cambiato praticamente tutto. Tranne la volontà della Chiesa italiana, fa notare monsignor Claudio Giuliodori «di capire ora come allora i fenomeni dell’era digitale, di abitare questi nuovi ambienti e di immettervi il seme fecondo del Vangelo». Il vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia allora era direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della Cei, che organizzò «Parabole mediatiche». Oggi è il presidente della Commissione episcopale Cei per la cultura e le comunicazioni sociali.«"Parabole mediatiche" – spiega – fu una piacevolissima sorpresa, perché - programmato all’inizio del decennio "Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia"  indicò chiaramente, specie nel momento del grande incontro con Giovanni Paolo II, che c’era già un movimento radicato e diffuso di operatori della comunicazione nel tessuto della Chiesa italiana. Insomma fu la conferma di quanto si stava sviluppando attraverso il progetto culturale, e cioè l’impegno di tradurre la fede in una proposta di cultura e di impegno sociale e civile. Da allora si sono ulteriormente rafforzati il coordinamento, le sinergie, la formazione e oggi con "Testimoni digitali", si fa tesoro dell’esperienza vissuta, ma nello stesso tempo si guarda avanti alle sfide che ci attendono».Come è cambiato il panorama?Le nuove tecnologie digitali permettono una frequentazione diffusa e popolare del nuovo ambiente digitale che avvolge tutti attraverso i cellulari, i computer portatili, l’ipod e gli altri strumenti che a ritmo vorticoso vengono immessi sul mercato. Così si hanno nuove possibilità di dialogo, di incontro, di scambio e giustamente si parla di un nuovo umanesimo, che ovviamente presenta alcune incertezze e non pochi rischi, ma offre anche straordinarie opportunità di crescita, di comunione e di solidarietà a livello mondiale.Anche per la Chiesa?Sì, il nuovo ambiente digitale pone nuovi interrogativi, ma dà anche nuove chance alla missione della Chiesa. Per questo era necessario fermarsi nuovamente a riflettere, focalizzare le sfide, organizzare l’azione evangelizzatrice, poiché anche in questo nuovo ambiente bisogna portare il seme fecondo della Buona Notizia.Con quale atteggiamento?Senza dubbio nello spirito del Concilio e di tutto il cammino della Chiesa italiana in questi anni dobbiamo guardare con assoluta fiducia al nuovo contesto che è frutto dell’ingegno umano. D’altra parte, però, l’uomo non può essere succube delle tecnologie, ma è chiamato ad essere protagonista responsabile, perché in ogni cambiamento non devono essere mai persi di vista la centralità della persona, la sua dignità, i suoi diritti inviolabili e soprattutto la sua apertura al trascendente. Qual è l’elemento che più richiede discernimento nelle nuove tecnologie?Le tecnologie possono dare l’impressione - con la rapidità della comunicazione e la molteplicità delle connessioni - di poter avere tutto a portata di mano. Ma questa sarebbe una tremenda illusione perché non deve mai essere eliminata, anche in questo nuovo ambiente digitale, la necessità di riflettere, di ponderare, di saper distinguere tra il bene e il male, tra ciò che è vero e ciò che è falso. Questo mi sembra essere soprattutto per i giovani il vero rischio, che impedisce poi di crescere sia in umanità, sia nel rapporto con Dio.Non c’è anche il rischio che venga meno il contatto vero, interpersonale?Paradossalmente tutte le indagini dicono il contrario. Specie tra i giovani, chi ha più contatti nella vita reale, ne ha anche sulla rete. Il timore che il web possa generare individualismo o creare mondi artefatti non corrisponde alle analisi più approfondite. La rete sta modificando sì le relazioni sociali, ma di per sé non è sempre fonte di alterazione dei rapporti. Certamente è compito della Chiesa, esperta in umanità, far sì che la rete non sia mai alternativa ma di supporto a quella relazione piena e totale che passa attraverso lo sguardo, l’incontro dei volti e il dialogo più profondo. Eppure secondo alcune ricerche la parola più digitata sui motori di ricerca sembrerebbe essere «sex»…Sulla rete si trova di tutto. Altre indagini dicono che la parola più citata è «Dio». Io credo che oggi l’uomo è alla ricerca di un senso della vita  e paradossalmente Dio e la sessualità sono ambiti di senso. Non è un caso che Dio abbia creato l’essere umano maschio e femmina a sua immagine e somiglianza . La rete riflette il bisogno di umanità e di autenticità. Certamente offre anche tremendi inganni, e su questo bisogna essere molto attenti e vigilanti. Ma la sfida va affrontata coraggiosamente, con competenza, e con quella fiducia che ci viene dallo Spirito Santo, che continuamente illumina l’azione pastorale della Chiesa.Un suo auspicio personale anche in vista dell’incontro di sabato con il Papa, al quale il mondo della comunicazione non mancherà di far sentire il suo affetto. L’auspicio è che l’immagine stupenda che l’allora cardinal Ratzinger ci offrì durante il convegno «Parabole mediatiche» – immagine degli intagliatori di sicomoro per dire che la fede deve incidere in profondità la cultura – possa riecheggiare ancora con forza nelle parole che ci offrirà papa Ratzinger e che certamente ci aiuteranno a cogliere i segni dei tempi e ad orientare l’impegno della Chiesa in questo ambito. Il nostro convegno non chiude una stagione, quella del decennio dedicato alla comunicazione, ma soprattutto apre e fa da trampolino di lancio per il prossimo decennio che sarà dedicato al tema dell’educazione. Infatti non si educa veramente se non attraverso la comunicazione interpersonale e credo anche attraverso la comunicazione sociale nel nuovo ambiente digitale.
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