martedì 25 febbraio 2020
La denuncia del pastori al termine del "G20" ecclesiale sulla pace. Le parole di Puljic e di Pizzaballa «Serve essere voce profetica di libertà Nuovi gemellaggi fra le Chiese»
I vescovi del Mediterraneo di fronte alla Basilica di San Nicola a Bari

I vescovi del Mediterraneo di fronte alla Basilica di San Nicola a Bari - Avvenire

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Sono Chiese del dialogo e del coraggio quelle che vivono sulle sponde del Mediterraneo. Chiese magari «rimaste piccola minoranza» oppure «ferite e in sofferenza» ma che sanno «costruire vie alternative, di pace, sviluppo e crescita». Chiese che contrastano «modelli di sviluppo» che «assoggettano la persona umana». Chiese che si fanno «carico delle contraddizioni» del bacino e «desiderano diventare un’unica voce profetica di verità e di libertà». Chiese che da Bari danno inizio a «un percorso che sarà lungo ma certamente avvincente». Anche se il documento finale del “G20” dei vescovi del Mediterraneo non è stato reso noto ma è stato consegnato a papa Francesco, i suoi contenuti emergono di fronte al Pontefice dalle parole di due dei 58 pastori che hanno partecipato alle giornate “sinodali” pugliesi: l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, e il cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo.


Nei loro saluti a Bergoglio, durante il dialogo di domenica mattina nella Basilica di San Nicola, raccontano quanto è scaturito dal confronto. Innanzitutto i vescovi spiegano che c’è bisogno della «franchezza della denuncia del male che causa la povertà e crea situazioni strutturali di ingiustizia», dice Pizzaballa. «Guerre commerciali, fame di energia, disuguaglianze economiche e sociali – continua l’arcivescovo – hanno reso questo bacino centro di interessi enormi. Il destino di intere popolazioni è asservito all’interesse di pochi, causando violenze che sono funzionali a modelli di sviluppo creati e sostenuti in gran parte dall’Occidente». Poi il richiamo. «Nel passato anche le Chiese – basti pensare al periodo coloniale – sono state funzionali a tale modello. Oggi desideriamo chiedere perdono, in particolare, per aver consegnato ai giovani un mondo ferito». Sono le Chiese del Nord Africa e del Medio Oriente a pagare il prezzo più alto. «Decimate nei numeri, non sono però Chiese rinunciatarie – avverte Pizzaballa –. Anche a fronte di enormi difficoltà e addirittura di persecuzioni, sono rimaste fedeli a Cristo. La “via della croce” è propria dell’esperienza delle Chiese del Mediterraneo». Puljic ricorda l’«inverno di omicidi e distruzioni» nei Balcani o i drammi del Medio Oriente «sotto forma di violenza, conflitti e divisioni di ogni tipo, causate in gran parte dai Paesi ricchi».


Conflitti e sperequazione sono fra le cause del fenomeno migratorio. Le Chiese sono accanto alle «migliaia di migranti che fuggono da situazioni di persecuzione e di povertà», sottolinea Pizzaballa. E Puljic dice che la comunità ecclesiale ha «il cuore spezzato per la partenza di molti giovani dovuta a guerre, ingiustizie e miseria». In un bacino dove le ombre sembrano prevalere sulle luci, le Chiese intendono far crescere «la fratellanza e la solidarietà umana» testimoniando lo «stile cristiano di stare dentro la realtà». Ad esempio, dice l’arcivescovo, «nelle scuole, negli ospedali, nelle innumerevoli iniziative di solidarietà e di vicinanza ai poveri». E poi con il dialogo. Ecumenico e interreligioso. «Come vescovi siamo spesso tra i più forti sostenitori del dialogo», afferma Puljic.


Fra le proposte elaborate durante l’evento di Bari – annunciano il cardinale e l’arcivescovo – c’è quella di “avvicinare” le Chiese delle diverse rive. Con «gemellaggi di diocesi e parrocchie, scambio di sacerdoti, esperienze di seminaristi, forme di volontariato», rivela Pizzaballa. Che aggiunge: «“Venite e vedete” è il nostro motto». E il cardinale chiarisce: «Siamo lieti ogni volta che qualcuno visita le nostre Chiese e i nostri Paesi dimostrando che non siamo soli ma abbiamo comunità “più grandi” che sono pronte a difenderci in una relazione di fraternità». Infine la scelta di dare un seguito all’iniziativa voluta dalla Cei. Con lo scopo, conclude Pizzaballa, di «costruire un percorso comune dove far crescere nei nostri contesti lacerati una cultura di pace e comunione».

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