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Il santuario del Sacro Monte di Novi Velia - .
A 1705 metri di altezza lo sguardo si perde tra le Isole Eolie e Capri dalla parte del mare, dall’altra si è immersi nel verde della macchia mediterranea. Siamo sul Sacro Monte di Novi Velia (Salerno), dove un santuario richiama da secoli pellegrini da tre regioni.
Dalla Basilicata, Calabria e provincia di Salerno arrivano in estate, da soli o in compagnia, famiglie e parrocchie sulla cima del Gelbison.«Abbiamo scelto che il Sacro Monte fosse chiesa giubilare della diocesi di Vallo della Lucania e che, accompagnati della presenza di Maria, sia possibile riconciliarsi vivendo un’esperienza di silenzio e preghiera». Portando un mazzo di fiori il vescovo di Vallo della Lucania, Vincenzo Calvosa, ha accolto i fedeli nei giorni scorsi, quando il santuario si è riaperto dopo la chiusura annuale. In inverno, quando la neve imbianca la vetta del monte, le porte della chiesa sono chiuse, riaprono l’ultima domenica di maggio sino alla seconda domenica di ottobre, i mesi di Maria.
E quassù, per pregare e trovare aria fresca e leggera, arrivava con la mamma Carlo Acutis. Il ragazzo in vacanza nel Cilento, partiva da Centola, paesino originario dei nonni materni non lontano dal mare cristallino di Palinuro. Grazie agli anziani del paese aveva scoperto questo rifugio come di nido d’aquila che custodiva la chiesetta dedica a Maria, un’occasione unica per passeggiare tra castagni e faggi.
La storia del luogo di culto richiama avvenimenti di un passato incerto e di fede antica. La prima notizia sicura è del 1323, quando Tommaso Marzano, barone di Novi, acquista dal vescovo di Capaccio, Filippo Santomagno, il Santuario per donarlo ai celestini, monaci benedettini che aveva chiamato a Novi Velia all’inizio del secolo. Non è sbagliato pensare che già in precedenza, grazie al monachesimo italo greco, una cappella fosse frequentata dai pastori. Monaci eremiti, amante dei luoghi semplici e nascosti, i monaci avrebbero diffuso già dal Mille il culto mariano. Dai Celestini nel 1800 il santuario passa alla Chiesa diocesana che ne ha fatto il principale luogo di preghiera.
Alla riapertura di quest’anno i fedeli hanno avuto la sorpresa di vedere il restauro della statua. Il lavoro ha ripulito il simulacro in legno della Madonna con il Bambino tra le braccia, riportando i colori originari, scoperti sotto gli strati sovrapposti delle tempere. Adesso don Aniello Panzariello, don Walter Santomauro e don Antonio De Marco aspettano i pellegrini saliti anche a piedi, per accompagnarli nel cammino di speranza del Giubileo sulla vetta del Gelbison, tra la pace della natura e le canzoni dei pellegrini.