mercoledì 21 gennaio 2009
Croci e cappelle nel rispetto del creato e delle tradizioni religiose delle comunità alpine. Dall’arcidiocesi di Trento una «nota» sui segni religiosi in montagna, che stabilisce quattro criteri di orientamento.
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«Chiediamo alla Chiesa locale alcune linee di sobrietà e di comportamento» da suggerire «a quanti intervengono religiosamente sulle nostre montagne». La richiesta è arrivata a rifugi chiusi, alla fine dello scorso settembre, ma non era firmata da un movimento di ambientalisti "arrabbiati" o di agnostici. Era maturata all’interno della Sat (la «Società degli Alpinisti Tridentini», oltre 24 mila soci, affiliata al Cai, il Club alpino italiano), senza spirito "laicista", come sollecitazione a discernere quali segni suggerire o acconsentire dentro «il paesaggio montano, che per un credente è già un inno al creato – aggiungeva il presidente Franco Giacomoni – senza bisogno di tanti orpelli».La perplessità si riferiva ad alcune discutibili iniziative di statue o croci pensate per "illuminare" anniversari religiosi (con annesso impianto fotovoltaico), ma vale anche per i progetti che si mettono sulla carta in questi mesi invernali davanti al caminetto, con l’intenzione e la speranza di poterli attuare nella bella stagione.La Pastorale del Turismo dell’arcidiocesi ha colto al volo l’invito. Prima ringraziando i soci Sat, «sentinelle della montagna», poi citando la valorizzazione dei «segni religiosi» nel 1986 al Sinodo tridentino e il recente appello – al Passo Pordoi, lo scorso primo settembre – a «evitare il sovraccarico di strutture artefatte che provocano forme varie di inquinamento». Infine, indicando alcuni parametri sui quali valutare preventivamente le nuove iniziative: punti concreti che possono orientare altre realtà ecclesiali alle prese con l’"interventismo selvaggio" che «trasforma un ambiente naturale in un luna-park», come teme la Sat.La condizione indispensabile, secondo la nota condivisa dall’arcivescovo di Trento Luigi Bressan, è «l’ascolto primario del messaggio della montagna nella sua spontaneità naturale». Quasi a voler dire che già nel libro della Creazione c’è un’abbondanza di segni eloquenti riecheggiati nei salmi e nella tradizione biblica. Il secondo criterio è «l’adeguamento di eventuali strutture all’ambiente».Non tutto, insomma, sta bene dappertutto: attenti ai materiali, alle tipologie costruttive, all’impatto vi­sivo. Non si può ignorare o cancellare il valore rappresentato storicamente per i locali da quel luogo. Anche nella scelta di targhe o cartelli segnaletici la sobrietà fa la differenza: un sentiero d’alta montagna non va trasformato in un percorso espositivo. Nei testi e nelle immagini – terzo crite­rio – è opportuno poi puntare «all’au­tenticità della proposta cristiana», tal­volta confusa con messaggi confusi o i­nadatti. Per fare un esempio, qualche anno fa fiorirono sui monti trentini al­cune croci metalliche legate a presun­te apparizioni mariane, mai ricono­sciute: la loro installa­zione fu frenata da una nota dello stesso arci­vescovo di Trento nel luglio 2002 dopo che al­cuni parroci l’avevano concessa «probabil­mente non essendo al corrente delle disposi­zioni della Chiesa in merito». Infine, un criterio pa­storale, il più disatteso: «Il confronto con le co­munità locali interessa­te ». Singoli e gruppi fa­miliari che si mobilita­no in buona fede non possono non coinvol­gere nella loro "impresa" le parrocchie: ogni intervento sui monti è un "fatto" ecclesiale, un’azio­ne e un’espressione corale. «L’espe­rienza ci dice che se la gente del posto non sente come propri e non frequen­ta luoghi religiosi sui monti, essi sono destinati a perdere il loro ruolo», osser­va monsignor Giuseppe Grosselli, il de­legato vescovile per il turismo che ha approntato vari sussidi per favorire un rinnovata animazione pastorale di chie­sette o croci alpine, anche con guida laicale. Tutto da rifare? No, in Trentino non mancano gli esempi che indicano il cammino giusto. Come il rinnovato sentiero del patrono «San Vili» – senza posa di nuove strutture, valorizzando i segni della fede dei residenti, o la cro­ce voluta dai giovani della parrocchia di Vermiglio ai 2973 metri di cima Redival in val di Sole. O quella del gruppo spor­tivo «Bela ladinia» issata sulla splendi­da «Crepa Neigra» sopra Canazei in al­ta Val di Fassa: rappresenta un segno di unità fra le cinque valli ladine, abbrac­cia i poveri del mondo, è illuminata di notte sì, ma con l’energia accumulata da un ecologico pannello solare. Una croce in Trentino (foto Gianni Zotta)
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