sabato 28 maggio 2022
La Chiesa finora in comunione con Kirill annuncia l'intenzione di diventare autonoma. Questo per il patriarca significherebbe non avere più giurisdizione su 10mila comunità e 15 milioni di fedeli
Il Consiglio della Chiesa ortodossa ucraina legata al patriarcato di Mosca

Il Consiglio della Chiesa ortodossa ucraina legata al patriarcato di Mosca - Reuters

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La decisione del Consiglio della Chiesa ortodossa ucraina, guidata dal metropolita Onufriy e legata finora al patriarcato di Mosca, di dichiarare «la piena indipendenza e autonomia», dopo aver condannato la guerra ed espresso dissenso rispetto alla posizione presa dal patriarca Kirill sul conflitto, è una di quelle notizie che - se confermata - può proiettare i suoi effetti ben oltre i confini del complesso e frastagliato mondo dell’ortodossia. Certo non è solo una questione interna al patriarcato di Mosca, sul quale pure è destinata a scaricare le sue prime conseguenze.

Perdere l’Ucraina, infatti, per Kirill vorrebbe dire essere privato di 10mila parrocchie, 15 milioni di fedeli e uno dei principali serbatoi di vocazioni, di sacerdoti e anche di offerte economiche. Evidente, dunque, l’indebolimento del patriarca di Mosca e di tutte le Russie (cioè appunto Russia, Ucraina e Bielorussia) a partire dallo stesso titolo. Il che lo metterebbe in un angolo e in ulteriore difficoltà rispetto alle frange più oltranziste all’interno del patriarcato, tra le quali si è ultimamente distinto il metropolita di Pskov e Porkhov, Tikhon Shevkunov, da sempre amico del presidente Putin e da molti indicato come il suo “padre spirituale”.

Lo stesso Kirill, che quando era il “ministro degli esteri” del patriarcato veniva considerato filo-occidentale, ha già dovuto rivedere abbondantemente le sue posizioni politico-religiose a partire dai primi anni del 2000 e poi, una volta divenuto patriarca, si è per così dire innamorato dell’ideologia del cosiddetto Russkii mir (letteralmente “mondo russo”), secondo cui esiste una sfera o civiltà russa transnazionale, chiamata Santa Russia o Santa Rus’, che include appunto Russia, Ucraina e Bielorussia (e talvolta Moldova e Kazakistan), con l’Occidente visto come il nemico conclamato, soprattutto rispetto ai valori anche e soprattutto religiosi tradizionalmente posti alla base di questa unità.

La “secessione” dell’Ucraina, dunque, sarebbe una grave perdita per una Chiesa che aveva già dovuto incassare lo “sgarbo” dell’altra comunità ortodossa ucraina, quella guidata dal metropolita Epifanio, al quale il patriarcato ecumenico di Costantinopoli aveva concesso l’autocefalia, compromettendo così i rapporti tra Kirill e Bartolomeo.

E proprio questa compresenza delle due Chiese sul territorio della nazione attaccata dall’esercito di Putin apre un altro fronte gravido di conseguenze. Nel comunicato diffuso venerdì, il Consiglio torna ad esprimere «il suo profondo rammarico per la mancanza di unità nell’ortodossia ucraina». È probabile che tutto ciò sia il frutto delle preoccupazioni per la diaspora “interna” alla stessa ortodossia di quel Paese.

Secondo l’agenzia Risu, citata dal Sir, dopo il 24 febbraio, data di inizio dell’aggressione russa, si è intensificato il processo dei trasferimenti di parrocchie dalla Chiesa legata a Mosca a quello autocefala. In totale più di 200 comunità. Per cui il Consiglio auspica che si possa riprendere il dialogo, «fermare il sequestro di chiese e i trasferimenti forzati di parrocchie».

Per chi conosce bene quegli ambienti, potrebbe essere il preludio per la realizzazione del progetto di riunificazione, finora rimasto a livello di intenzioni. «Il momento è propizio», sostiene una fonte ben informata. Potrebbe nascerne addirittura un patriarcato ortodosso ucraino unico. E a questa nuova entità potrebbe avvicinarsi molto anche la comunità greco-cattolica di Kiev che fa capo all’arcivescovo maggiore Shevchuk. L’Ucraina diventerebbe così una sorta di laboratorio ecumenico avanzato per il fatto che i due punti di riferimento dell’eventuale patriarcato ortodosso ucraino sarebbero da una parte Costantinopoli, dall’altra la Santa Sede. Il che potrebbe anche rinvigorire quell’ecumenismo di base e dell’affrontare insieme problemi concreti che anche Francesco predilige.

In sostanza lo scenario che la decisione degli ortodossi ex filo russi di Kiev lascia intravedere è una sorta di eterogenesi dei fini rispetto alle intenzioni di Putin e dello stesso Kirill. Se infatti il capo del Cremlino ha cercato in questi mesi l’appoggio e la giustificazione della sua azione militare, strumentalizzando per i suoi fini egemonici la componente ortodossa russa, proprio gli attori ecclesiastici stanno cominciando a presentargli il conto.

L’Ucraina, non ancora conquistata militarmente, potrebbe essere persa sotto il profilo religioso. E per lui e Kirill non sarebbe certo un successo.

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