venerdì 29 aprile 2011
Ha guidato la diplomazia della Santa Sede in un periodo di grandi trasformazioni negli assetti internazionali: la fine della guerra fredda con la caduta del Muro di Berlino
l Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi con il Segretario di Stato del Vaticano, Cardinale Angelo Sodano, il Segretario Generale dell'ONU, Kofi Annan ed il Direttore Generale della FAO Jacques Diouf

l Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi con il Segretario di Stato del Vaticano, Cardinale Angelo Sodano, il Segretario Generale dell'ONU, Kofi Annan ed il Direttore Generale della FAO Jacques Diouf - Ansa

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Ha guidato la diplomazia della Santa Sede in un periodo di grandi trasformazioni negli assetti internazionali: la fine della guerra fredda con la caduta del Muro di Berlino, la dissoluzione dell’impero sovietico e la nascita di nuovi Stati. Grandi scenari che hanno visto in primissimo piano la Chiesa di Papa Wojtyla e la sua opera di evangelizzazione a tutto campo: Segretario di Stato dopo gli anni di Agostino Casaroli – il cardinale Angelo Sodano è stato il primo e più diretto collaboratore di Giovanni Paolo II.

Eminenza, in questi giorni d’attesa della beatificazione del Papa Giovanni Paolo II sono apparsi molti scritti in merito ai suoi 27 anni di pontificato. C’è qualche aspetto che merita ancora di essere sottolineato?
Di fronte alla personalità eccezionale del grande Pontefice ognuno ha preferito soffermarsi su qualche suo aspetto specifico, come quando un artista contempla la faccia di un prisma multicolore. Da parte mia credo che si dovrà far conoscere meglio il servizio che Giovanni Paolo II ha reso alla libertà dei popoli e alla loro pacifica convivenza. Nelle più note biografie del compianto Pontefice tale tema è già stato in parte affrontato. Penso, ad esempio, alle opere di Weigel negli Stati Uniti, di Raimond in Francia e in Italia del professor Andrea Riccardi con la sua recente biografia del prossimo beato. Penso però che con il tempo il contributo sociale di questo grande Papa dovrà essere meglio approfondito. Da parte mia cercherò di contribuirvi.

Lei è stato per 15 anni collaboratore di Papa Wojtyla in tale sua missione al servizio dei popoli. Quali saranno le i­niziative più ricordate?
Penso che sarà molto ricordato il suo impegno per la libertà dei popoli dell’Europa centro-orientale. In realtà egli ha contribuito in modo decisivo al sorgere di una nuova Europa, un’Europa che respira a due polmoni, dall’Atlantico agli Urali, un’Europa della libertà e della solidarietà. Con la caduta del Muro di Berlino, in quella storica data del 9 novembre 1989, si apriva una nuova era non solo per i cristiani che potevano ormai professare liberamente la loro fede, ma anche per tutte le Nazioni dell’Est europeo, come per quelle dei Balcani. L’apporto dato da Papa Giovanni Paolo II alla caduta del comunismo e al conseguente avvio di una nuova era di libertà in Europa è stato pubblicamente riconosciuto, in varie occasioni, dallo stesso ultimo presidente dell’Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov. In tal senso, parlò anche esplicitamente con me, prima e dopo lo storico incontro con Giovanni Paolo II, qui in Vaticano, il 1° dicembre 1989. Egli affermava che tutto ciò che è successo in Urss e in Europa centro­orientale non sarebbe stato possibile senza il ruolo decisivo del grande Papa slavo.

Qual era, a suo giudizio, la visione che muoveva il Papa nel suo straordinario im­pegno per la libertà e la pace dei popoli?
Era un impegno che partiva dalla sua profonda fede nel piano di Dio, che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, dandogli una dignità che nessuno Stato e nessuna istituzione umana può violare. Già nella prima enciclica del suo pontificato, la Redemptor hominis , il Papa indicava nel rispetto dei diritti umani il cammino fondamentale per assicurare un’ordinata convivenza dei popoli. Per il Papa il nesso fra giustizia e pace era fondamentale, come fra causa ed effetto. Dinanzi a sé Giovanni Paolo II aveva poi l’esempio dato dei suoi predecessori sulla Cattedra di Pietro e il magistero ribadito dal Concilio ecumenico Vaticano II nella celebre Costituzione pastorale Gaudium et Spes. Anche per tale suo contributo alla pace fra i popoli Giovanni Paolo II sarà domenica prossima dichiarato beato dal Papa Benedetto XVI. Il Pontefice attuale ha ora raccolto la bandiera del suo predecessore e continua a tenerla alta sul mondo intero.

Oltre all’area europea, quali furono gli scenari su cui si concentrò maggiormente l’intervento pacificatore di Gio­vanni Paolo II?
È difficile in questo momento fare un elenco di tutti gli interventi del compianto Pontefice. Ma è a tutti noto che le aree tipiche in cui ha dovuto operare sono state, durante il suo pontificato, l’area dei Balcani, la Terra Santa, l’Iraq e l’Africa Centrale. So bene che vi sono stati molti altri casi in cui si è dispiegata la sua opera, in Asia come in America Latina. A tale riguardo vorrei ricordare il pericolo di guerra che alla fine del 1978 era scoppiato fra Argentina e Cile, a causa di un’annosa controversia relativa al Canale del Beagle, all’estremità australe dei due Paesi. La mediazione di Giovanni Paolo II riuscì a evitare un conflitto fra quelle due Nazioni sorelle. Fu una mediazione lunga e paziente, ma dopo quattro anni di trattative, si poté firmare a Roma, il 29 novembre 1984, un vero e proprio Trattato di pace e di amicizia fra Argentina e Cile. Fra quelle popolazioni il nome del Papa Giovanni Paolo II vive in benedizione.

Lei fu testimone di molti interventi in campo internazionale del compianto Pontefice. Qual era lo spirito che lo guidava?
Era uno spirito di grande equilibrio fra le parti, in fondo di grande prudenza. Non per nulla è beato: egli, infatti, dimostrò in modo eminente tale virtù della prudenza, pur cercando di dare a ognuno ciò che gli competeva, in base alla virtù della giustizia. Tipica al riguardo è la sua posizione nell’annoso conflitto esistente in Terra Santa. Al riguardo, sempre riconobbe i diritti sia degli israeliani che dei palestinesi ad avere un proprio Stato, nel rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite. Nel grande Giubileo del 2000, il compianto Pontefice volle pure compiere un viaggio in Terra Santa, richiamando le parti a trovare un cammino di riconciliazione fra di loro, nel nome di quell’unico Dio verso il quale convergono le tre grandi religioni monoteistiche professate in quel Paese. In questo momento l’opera di pace di Giovanni Paolo II è particolarmente ricordata nei vicini Paesi della Slovenia e della Croazia, che celebrano il ventennio della loro indipendenza.

Cosa ricorda di quel 1991?
Ricordo che sin dall’inizio della crisi nell’ex-Jugoslavia il Papa Giovanni Paolo non cessò di richiamare con vigore i princìpi etici della legge naturale e i principi giuridici del diritto internazionale, che regolano i rapporti fra i popoli. Da una parte, la Croazia e la Slovenia avevano il diritto di scegliere il loro destino, in base alla stessa Costituzione della Repubblica federale di Jugoslavia e, d’altra parte, il governo di Belgrado aveva il diritto di seguire tale situazione, senza però ricorrere all’uso delle armi contro le proprie popolazioni. La guerra – insisteva sempre il Papa – non poteva essere mai considerata come un mezzo per risolvere le controversie fra i popoli. Nei suoi numerosi interventi in quegli anni difficili Giovanni Paolo II si ispirò poi sempre ai valori evangelici del perdono reciproco e della riconciliazione. Grazie anche al compianto Pontefice si è poi sviluppata un’ordinata vita sociale nelle Repubbliche sorte dopo la dissoluzione dell’ex-Jugoslavia. Anche per quest’opera di pace Giovanni Paolo II sarà domenica prossima proclamato beato. Egli si è ben meritato la beatitudine promessa da Cristo agli artefici di pace.

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