giovedì 25 agosto 2022
L’arcivescovo emerito di Cagliari, ma piemontese d’origine, che ha guidato anche le diocesi di Iglesias e Ivrea: «La Chiesa sia accanto ai lavoratori e alle famiglie piegate dalla crisi»
L’ormai prossimo cardinale Miglio con gli scout di Cagliari

L’ormai prossimo cardinale Miglio con gli scout di Cagliari - Archivio

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Sa guidando un pellegrinaggio in Terra Santa, “pellegrino alle sorgenti della nostra fede”, dove lo abbiamo raggiunto telefonicamente. L’arcivescovo Arrigo Miglio, emerito di Cagliari ma piemontese d’origine, è uno dei cinque nuovi cardinali italiani che saranno creati da papa Francesco durante il Concistoro di sabato. Quando il Pontefice ha annunciato le porpore durante il Regina Coeli di domenica 29 maggio, Miglio è stato colto di sorpresa così come la Chiesa sarda, molti amici piemontesi e generazioni di scout dell’Agesci che lo hanno avuto come assistente ecclesiastico. In questi mesi ha ricevuto migliaia di messaggi e tanti “Buona strada don Arrigo!” dalle camicie azzurre con il fazzolettone al collo.

«Anche io ho appreso la notizia in tv – afferma Miglio –. Sono arrivato in tempo a casa, dopo aver amministrato le Cresime in una parrocchia di Cagliari, per seguire il Regina Coeli e sentendo pronunciare il mio nome ho capito che ero proprio io… Ho subito pensato al compianto Luigi De Magistris, cagliaritano, nominato cardinale da papa Francesco a sorpresa a 89 anni… anche lui non ci credeva. A 80 anni, che ho appena compiuto, avevo deciso di essere a servizio dell’arcidiocesi di Cagliari come emerito: non immaginavo certo i progetti di Francesco su di me».

Nato il 18 luglio 1942 a San Giorgio Canavese, in provincia di Torino, è entrato in Seminario a Ivrea. Ha studiato all’Almo Collegio Capranica di Roma e ha conseguito le licenze in teologia all’Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Biblico. Ordinato sacerdote ad Ivrea nel 1967, è stato nella sua diocesi viceparroco, parroco, responsabile della Caritas e vicario episcopale per la pastorale. Poi è stato poi scelto dal vescovo Luigi Bettazzi come vicario generale dal 1980 al ’92 quando lo stesso Bettazzi lo ha consacrato vescovo. Docente di Sacra Scrittura, è stato assistente ecclesiastico nazionale dell’Agesci dal 1991 al ’97 e ha coordinato l’animazione delle Giornate mondiali della gioventù. Vescovo di Iglesias dal 1992 al ’99 e nella sua di Ivrea, successore di Bettazzi, dal 1999 al 2012, ha poi guidato la Chiesa di Cagliari fino al 2020. E ha presieduto il Comitato scientifico delle Settimane sociali fino al 2016.

Eccellenza, come è nata la sua vocazione?
Ero chierichetto nella parrocchia di San Giorgio e, man mano, la mia vocazione si è chiarita tra crisi e approfondimenti. Ho ricevuto un grande aiuto dagli studi all’Istituto Biblico a Roma. Ma la chiamata che sentivo forte era di portare la Bibbia e il Concilio alla gente, alle parrocchie, alla diocesi. Albino Mensa, allora vescovo di Ivrea, ci ha fatto amare il Concilio: è stato lui a inviarmi a Roma, grazie anche a don Gigi Rey. Bettazzi ci ha portati con entusiasmo attraverso la stagione del post-Concilio dove ho sperimentato la sua fiducia e la sua pazienza. Un testimone, un grande fratello e padre.

Che cosa ha significato per lei essere nominato vescovo di Iglesias e poi della sua diocesi di origine, Ivrea?
Mai avrei immaginato di diventare vescovo nella mia diocesi. Ho avuto un grande esempio di umiltà e di affetto da parte dei preti che erano stati i miei formatori, dei compagni di Seminario, del clero e dei laici. Ci conoscevamo a vicenda: carattere, limiti e difetti. È stata una ricca esperienza. E ho vissuto la a fine della grande avventura dell’Olivetti, quindi lo smarrimento di tutta la popolazione del Canavese che per settant’anni aveva vissuto questa ricchezza. Ma prima di Ivrea c’è stata Iglesias. Conoscevo la Sardegna, specialmente per via delle Missionarie dell’Amore Infinito di Vische Canavese e degli scout sardi, ma non ero mai stato a Iglesias. I minatori, commoventi e sofferenti, mi dissero: «Sappiamo che lei non può fare molto per noi ma a noi basta che lei ci sia vicino». Ricordo che nel ’92 e poi ho ancora nel ’94 ho celebrato la Messa nella notte di Natale con i minatori affacciati dalla rete che chiudeva l’ingresso. Poi c’è stata la necessità di aiutare le famiglie in crisi, quella di cercare di mantenere l’unità di tutta la comunità. Inoltre i sardi sono gente di carattere, umanità, pietà popolare: indimenticabili le celebrazioni della Settimana Santa ad Iglesias vissute con fede e profonda devozione.

Poi arcivescovo di Cagliari…
Cagliari è stata un’altra sorpresa e un’altra full immersion nella Sardegna. Città vivace e generosa, diocesi ricca di giovani e di vocazioni, una Caritas meravigliosa, mi sono sentito sempre molto accolto. Anche da emerito ho tenuto lì la mia base. Oggi mi sento ancora più in debito verso Cagliari e anche verso Iglesias, la mia prima sede vescovile: sono molto riconoscente alla Sardegna e ogni volta che torno è una nuova ricchezza di spirito e di cuore.

Ora Papa Francesco l’ha scelta ad essere tra i suoi più stretti collaboratori a servizio della Chiesa. Come vive questa nuova chiamata?
La vivo certamente come un atto di fiducia da parte del Pontefice, ma soprattutto come un invito ad essere ancora e sempre più disponibile a servire la Chiesa, là dove il Signore vorrà indicarmi un servizio da compiere, in modo particolare attraverso il Papa. Ho sempre cercato di camminare in unione con il Papa, tutti quelli che si sono succeduti e che ho avuto modo di conoscere, e di lavorare per crescere e far crescere tutti nella comunione ecclesiale. Tanto più ora, che diventando cardinale sono ancora più legato alla Chiesa di Roma anche attraverso il “titolo”, cioè la chiesa che mi verrà assegnata.

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