lunedì 18 settembre 2023
Il Papa è intervenuto online all'incontro promosso dalla Fondazione di Bill Clinton. "È tempo di intraprendere vie di pace". E cita l'impegno dell'ospedale pediatirco Bambino Gesù
Papa Francesco durante il suo intervento da remoto all'incontro della Fondazione di Clinton

Papa Francesco durante il suo intervento da remoto all'incontro della Fondazione di Clinton - Vatican media

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Trovare vie di pace, fermare la catastrofe ecologica, affrontare la sfida delle migrazioni. Ma anche la cura dei bambini malati, in particolare quelli ricoverati all’ospedale Bambino Gesù di Roma. È stato un intervento ad ampio spettro quello che papa Francesco ha fatto online collegandosi da remoto ieri con l’incontro promosso a New York dalla Clinton Global Initiative, fondazione creata dall’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton nel 2005

Proprio parlando dell’assistenza medica ai piccoli degenti del Bambino Gesù, il Papa ha sottolineato come «scienza e ospitalità: raramente queste due cose si incontrano a un certo livello». «Come lei sa, signor presidente – ha affermato il Pontefice in spagnolo rivolgendosi all’ex presidente Clinton –, questo nostro incontro nasce da un piccolo grande progetto che mi interessa moltissimo. Ha a che fare con i bambini e la loro salute», ricordando che «in Italia, a Roma, vicino al Vaticano, c’è un ospedale molto speciale: l’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Nel mondo è conosciuto come l’ospedale del Papa, ma per me non è questo il motivo per cui è “unico”». Una realtà ospedaliera (di proprietà della Santa Sede e istituito con un chirografo da Pio XI il 24 gennaio 1934 quale istituzione con tutte le sue pertinenze e dipendenze) che accoglie «bambini da tutto il mondo» e che nell’ultimo anno e mezzo ha curato «oltre duemila bambini ucraini» fuggiti dalla guerra che devasta il loro Paese, assieme ai genitori. Del resto, sottolinea ancora il Pontefice nel suo intervento, «nel campo della salute, oggi più che mai – ha continuato Francesco –, la prima e più concreta forma di carità è la scienza, la capacità di guarire, che però deve essere accessibile a tutti. Il Bambino Gesù è un segno concreto della carità e della misericordia della Chiesa. Esistono malattie incurabili, ma non esistono bambini incurabili. Cerchiamo di essere chiari su questo punto: esistono malattie incurabili, ma non esistono bambini incurabili. Questo è il sigillo dell’Ospedale», ha ricordato con forza.

Il racconto dei bambini ucraini curati all’ospedale Bambino Gesù, ha dato modo al Papa di far sentire ancora una volta la sua voce contro la guerra e in favore della fine del conflitto. «È tempo di trovare il cambiamento della pace, il cambiamento della fratellanza. È ora che le armi cessino. Che si torni al dialogo, alla diplomazia. Cessino i disegni di conquista e di aggressione militare. Per questo ripeto: no alla guerra. No alla guerra». Il Pontefice ha rimarcato che «è ora di lavorare insieme per arrestare la catastrofe ecologica, prima che sia troppo tardi. Per questo motivo - ha detto - ho scelto di scrivere un nuovo documento, dieci anni dopo l’enciclica Laudato si’», con la pubblicazione di una esortazione apostolica il prossimo 4 ottobre, memoria liturgica di san Francesco d’Assisi.

Il Papa ha posto l’accento anche sulla catastrofe ecologica, altro tema a lui molto caro e al quale ha dedicato tantissimi discorsi e documenti durante il suo magistero: «È tempo di lavorare insieme» per fermarla, ha detto nel suo intervento. «Fermiamoci finché c’è tempo, per favore. Fermarci finché c’è tempo» ha chiesto con forza.

Ed è anche il «tempo di affrontare insieme le emergenze migratorie, ricordando che non stiamo parlando di numeri, ma di persone, uomini, donne e bambini. Quando parliamo di migrazione pensiamo agli occhi dei bambini che incontriamo nei campi profughi. È tempo di pensare ai più piccoli, ai ragazzi, alla loro educazione, alla loro cura». E rivolgendosi alla platea che lo sta ascoltando il Papa ribadisce che «nessuna sfida è troppo grande se la affrontiamo a partire dalla conversione personale di ognuno di noi, dal contributo che ognuno di noi può dare per superarla e dalla consapevolezza di ciò che ci rende parte dello stesso destino».

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