mercoledì 31 agosto 2022
Parla il gesuita, allora superiore dell'Aloisianum di Gallarate: con umiltà ebbe un abbandono filiale al Padre
Padre Cesare Bosatra Cesare annuncia la morte del cardinale Carlo Maria Martini. Era il 31 agosto 31 agosto 2012

Padre Cesare Bosatra Cesare annuncia la morte del cardinale Carlo Maria Martini. Era il 31 agosto 31 agosto 2012 - Fotogramma

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«Un maestro e un padre ». Sono i due sostantivi che sceglie il gesuita e conoscitore degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio Cesare Bosatra per descrivere, a dieci anni dalla scomparsa, i tratti, a suo giudizio, più sostanziali di «una complessa figura» come il suo confratello il cardinale Carlo Maria Martini.

Fu infatti questo religioso ignaziano, classe 1947, originario della provincia di Lodi, ad accogliere nel 2008 il cardinale Martini come nuovo ospite, nella sua veste di superiore dell’Aloisianum di Gallarate, dove il porporato gesuita si spense nell’agosto di quattro anni dopo.

«Nell’aprile 2008, padre Martini lasciava definitivamente Gerusalemme alla volta della nostra infermeria di Gallarate. Morire in Terra Santa – è la testimonianza – era il suo sogno ma le condizioni di salute lo avevano convinto a un suo ritorno in Italia. Ricordo ancora che già nel 2006 mi disse con fermezza: “Preparami un posto all’Aloisianum”».

Ma per Martini la scelta di Gallarate in provincia di Varese simboleggiò, in un certo senso, un ritorno alle sue origini di giovane gesuita in formazione e un rientrare da vescovo emerito dentro i confini della sua amata arcidiocesi: Milano.

«All’interno di queste mura infatti, tra il 1946 e il 1949, da scolastico della Compagnia di Gesù, Martini fece il percorso di studi in filosofia. E qui ha ritrovato, negli ultimi anni della sua esistenza, il suo antico professore Roberto Busa ma anche due confratelli che furono ordinati con lui sacerdoti nel 1952: Sergio Masetto e Pietro Oliana. Quel ritorno suggellò per lui, in un certo senso, un ritorno alle origini. Gallarate divenne per lui la “sua” nuova Gerusalemme».

Dei quattro anni (2008-2012) trascorsi nella veste di “superiore” all’Aloisianum al fianco dell’arcivescovo Martini «da me conosciuto per la prima volta nel 1974 durante un corso di Esercizi spirituali quando era già un noto biblista», sopravvive nella mente di padre Cesare il ricordo della sua grande «lucidità fino alla fine ma anche la dignità nel prepararsi alla morte e accettare l’evolversi della malattia».

Dal suo album di ricordi estrae alcune istantanee: «Voleva essere chiamato da tutti i suoi confratelli semplicemente “padre”. Negli ultimi tempi non presiedeva lui la celebrazione eucaristica, ma era contento di impartire la benedizione a conclusione della Messa».

E a questo proposito tornano alla mente di padre Bosatra le ultime parole “pubbliche” proferite dal suo illustre confratello per la sua ultima Eucaristia celebrata il giorno prima della sua morte: «La Messa è finita andate in pace». Il religioso confida ancora: «Mi è sembrato, fino alla fine, una persona che viveva quello che diceva e diceva quello che viveva».

Poi di quell’estate del 2012 il religioso ignaziano rievoca ancora un altro particolare: «Mi impressionò che, per ben due volte e in due colloqui distinti, ebbe il bisogno di parlarmi della morte che sentiva ormai vicina». E rivela: «Questo suo gesto non impulsivo che è in controtendenza rispetto alla mentalità corrente di parlare di morte l’ho avvertito come un atto di umiltà, non disgiunto dalla padronanza di sé. Ho percepito la fragilità di un uomo che si consegna al Padre. Ho interpretato quelle due conversazioni sulla fine incombente della sua esistenza come l’ultima testimonianza di un’intera vita consegnata nell’abbandono filiale a Dio Padre, a Cristo Signore e alla Chiesa sua sposa».

Di qui la riflessione finale: «Mi ha raccomandato ripetutamente e con insistenza che dopo la sua morte papa Benedetto XVI doveva essere informato per primo. Questo pensiero di fedeltà alla Chiesa e alla propria missione in comunione con il Vicario di Cristo lo rassicurava e confortava tanto».



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