venerdì 29 marzo 2024
I sacerdoti del Duomo scrivono ai confratelli una lettera sul "sacramento perduto”, come lo chiama l'arcivescovo Delpini nell'introduzione. E sulle vie per aiutare la comunità cristiana a riscoprirlo
Il Papa in confessionale durante una liturgia penitenziale

Il Papa in confessionale durante una liturgia penitenziale - Agenzia Romano Siciliani/O.R.

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«Anche il presbitero è un peccatore chiamato alla conversione e può confessare bene gli altri se sa egli stesso confessarsi bene». Il ministero sacerdotale «è un servizio alla fede dei fratelli. Non è possibile esercitarlo con coscienza retta se non si mantiene alto il livello della propria vita spirituale, anche attraverso la regolarità e una certa frequenza nella penitenza sacramentale». A scriverlo sono i sacerdoti impegnati nella Penitenzieria del Duomo di Milano, in una lettera rivolta ai preti della Chiesa ambrosiana dal titolo “Ci sarà gioia in cielo”, diffusa in occasione della Messa Crismale presieduta dall’arcivescovo Mario Delpini – che firma l’introduzione a questo testo dedicato al «sacramento perduto», come lo chiama lo stesso presule.

Le pagine che seguono – scritte su invito di Delpini – condividono esperienze e riflessioni proprio per aiutare la comunità cristiana a riscoprire questo sacramento al quale sempre meno fedeli si accostano. Non solo: «molti battezzati non si confessano per un pentimento che invoca il perdono di Dio e la riconciliazione con la Chiesa. Cercano piuttosto qualcuno che li ascolti, hanno bisogno di sfogarsi», sottolinea il presule. E poi: la modalità celebrativa «è quasi esclusivamente quella personale, con evidenti derive individualistiche».​

«Oggi la gente fa fatica a percepire la Penitenza come parte della vita cristiana», concordano i confessori del Duomo, dove i penitenti tuttavia non mancano. «Se il “peccato” diventa semplicemente uno “sbaglio”, perché chiederne perdono?». Inoltre: «molti poi faticano a riconoscere nella Chiesa una mediazione necessaria della misericordia e un riferimento positivo per il discernimento morale. Alcuni giudizi del Magistero non sono capiti e a volte neppure conosciuti». Perciò il penitente va «aiutato con domande opportune e discrete, tese non solo a realizzare la valida celebrazione del sacramento, ma pure una vera educazione morale». Di fronte alla difficoltà, affermata a volte dai fedeli, a trovare preti in parrocchia per confessarsi, la lettera ricorda che «la precisione dei tempi e la visibilità del luogo (adeguato) della Penitenza sono essi stessi strumenti di evangelizzazione». Che vanno «comunicati e mantenuti».

La vita dei preti è sempre più piena di impegni e responsabilità. Tuttavia: «un’autentica carità pastorale ci impedisce di sacrificare alle urgenze organizzative e amministrative un ministero così necessario come quello della Penitenza». La lettera – qui integrale – suggerisce di valorizzare i momenti di celebrazione comunitaria del sacramento, e una preparazione che aiuti a vivere la Penitenza «come atto liturgico illuminato dalla Parola di Dio», scrivono i sacerdoti richiamando il magistero del cardinale Carlo Maria Martini «in merito alla triplice confessio (laudis, vitae, fidei)».

«Il singolo colloquio penitenziale – sottolinea il testo – è decisivo ma non può esaurire il cammino di crescita nella fede, che richiede necessariamente un contesto comunitario. Un primo livello è dato dalla predicazione domenicale, che non dovrebbe censurare il confronto con le tematiche morali; lo stesso vale per i percorsi di catechesi». Altro nodo cruciale: «quello del presbitero confessore è un ministero nella Chiesa. Come tale chiede di essere svolto in comunione con la dottrina e la disciplina della Chiesa cattolica, che vanno anteposte alle proprie valutazioni».


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