sabato 22 febbraio 2014
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«Ne ho parlato con papa Francesco, che lo co­nosce bene». Monsignor Claudio Giuliodo­ri, assistente ecclesiastico generale dell’U­niversità Cattolica e amministratore apostolico della dio­cesi di Macerata-Recanati-Tolentino-Cingoli-Treia – Ma­cerata, dove il grande missionario ge­suita nacque nel 1552 – confida adesso che la causa di beatificazione di padre Matteo Ricci proceda senza intoppi. La fase diocesana è chiusa e i faldoni sono stati consegnati alla Congregazione per le cause dei santi lo scorso 10 gennaio. Ricci muore nel 1610.
Quattro secoli d’attesa. Perché? «La sua è una vicenda singolare – spiega Giuliodori – i confratelli lo considera­no un santo e la stessa prima biografia del bresciano pa­dre Giulio Aleni, nel 1630, ne esalta la santità. Fin da su­bito si sprecano le autorevoli attestazioni di stima, qua­si di venerazione». E poi? «La cacciata dei missionari dal­la Cina fa cadere su Ricci e la sua vicenda un velo d’om­bra. Fino al Novecento. È PioXII a togliere la condanna dai “riti cinesi”, a lungo ritenuti incompatibili con la fe­de cristiana, in realtà di matrice confuciana, filosofica». A ricordare più volte padre Ricci saranno poi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il processo è avviato formal­mente nel 1982 dall’allora vescovo di Macerata, monsi­gnor Tarcisio Carbo­ni, ma tutto rimase fermo negli archivi dei gesuiti. Infine, grazie anche al diret­to interesse della Se­greteria di Stato, i materiali sono stati recuperati, la docu­mentazione è stata aggiornata, la commissione ricosti­tuita fino alla chiusura.
«In questi anni – sottolinea Giuliodori – è emerso uno straordinario interesse per il suo metodo missionario». Modernissimo, tale da suscitare l’attenzione di molti stu­diosi. Forse può stupire noi italiani che padre Matteo Ricci, in Cina, sia più popolare dello stesso Marco Polo. Ricci è un personaggio storico e tutti i cinesi che studia­no storia lo trovano nei manuali. «Ricci fa scoprire l’Oc­cidente ai cinesi e la Cina agli occidentali» spiega Giu­liodori, che racconta un episodio emblematico: «Quel 10 gennaio a un convegno stavo parlando di Armida Barelli, cofondatrice dell’Università Cattolica e presidente della Gioventù femminile dell’Azione cattolica. Personaggio di straordinaria intraprendenza, fonda in Cina l’Istituto Benedetto XV per assicu­rare alle ragazze cinesi povere una do­te, da cui nasceranno le Terziarie fran­cescane del Sacro Cuore. Segnalavo la coincidenza: proprio quel giorno veni­va consegnato il materiale del processo diocesano per la beatificazione di padre Ricci. Un semplice inciso. Che però finì in due righe sull’Ansa... Qualche giorno dopo mi recapitarono i quotidiani cinesi dove la notizia veni­va data con grandissima evidenza».
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