sabato 7 febbraio 2015
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​Si celebra domenica 8 febbraio in tutto il mondo la Prima giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone sul tema: "Accendi una luce contro la tratta". (Clicca sul sito "Una luce contro il traffico degli uomini"), proposta dalle Unioni dei Superiori e delle Superiore Generali nella festa di santa Giuseppina Bakhita, schiava sudanese, liberata e divenuta religiosa canossiana, canonizzata nel 2000. La Giornata è sostenuta dal Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti, dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, deala Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. L’obiettivo della giornata “è innanzitutto quello di creare maggiore consapevolezza del fenomeno e riflettere sulla situazione globale di violenza e ingiustizia che colpisce tante persone, che non hanno voce, non contano, non sono nessuno: sono semplicemente schiavi”, spiega l’associazione “Slaves no more”, con sede a Roma, che aderisce all’iniziativa. “Al contempo si intende dare risposte a questa moderna forma di tratta di esseri umani, attraverso azioni concrete. Per questo è fondamentale, da un lato, ribadire la necessità di garantire diritti, libertà e dignità alle persone trafficate e ridotte in schiavitù e, dall’altro, denunciare sia le organizzazioni criminali sia coloro che usano e abusano della povertà e della vulnerabilità di queste persone per farne oggetti di piacere o fonti di guadagno”.La Giornata mondiale contro la tratta, inoltre, “si inserisce significativamente anche all’interno dell’Anno dedicato alla Vita consacrata e sarà dunque da stimolo per tutte le religiose e i religiosi sparsi per il mondo a leggere i ‘segni dei tempi’ e a ripensare in termini profetici il presente e il futuro della vita consacrata stessa”. L’associazione Slaves no More onlus (Mai più schiave), è sorta nel 2012 su iniziativa di religiose e laici da tempo impegnati a vario titolo nella lotta al traffico di esseri umani e nella salvaguardia delle vittime: è presieduta da suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata. “La tratta di esseri umani è una delle peggiori schiavitù del XXI secolo”, spiegano dall’associazione. “Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e l’ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc), circa 21 milioni di persone, spesso povere e vulnerabili, sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale o lavoro forzato, espianto di organi, accattonaggio forzato, servitù domestica, matrimonio forzato, adozione illegale e altre forme di sfruttamento”. Ogni anno “circa 2,5 milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani e riduzione in schiavitù; il 60 per cento sono donne e minori. Spesso subiscono abusi e violenze inaudite. D’altro canto, per trafficanti e sfruttatori la tratta di esseri umani è una delle attività illegali più lucrative al mondo: rende complessivamente 32 miliardi di dollari l’anno ed è il terzo ‘business’ più redditizio, dopo il traffico di droga e di armi”. Alla Giornata aderiscono ufficialmente: Pontificia Accademia delle scienze sociali, Caritas Internationalis e il suo Network di Christian Organizations against trafficking, Talitha Kum, ufficio “Tratta donne e minori” Usmi, Slaves no More, Unione mondiale associazioni femminili cattoliche, Comunità Papa Giovanni XXII, Jesuit Refugee Service (Jrs), International Catholic Migration Commission, International Forum Catholic Action, Congregazione figlie della Carità Canossiane, Gruppo Abele, Comece.  Venerdì sera a Roma si è svolta una veglia di preghiera nella Basilica dei Santi Apostoli, promossa da diverse realtà del volontariato che si occupano delle vittime di questa piaga e dai Pontifici Consigli per i Migranti e Giustizia e Pace. Molte le testimonianze, tra cui quella di
Gloria, nigeriana di 25 anni, lo sguardo triste e il corpo segnato da cicatrici fisiche e psicologiche. Nella veglia anche tante storie dove il dolore è riuscito a diventare speranza di un domani migliore, come quella di Daniel, un giovane del Ghana, vittima del lavoro forzato in Libia, ma una volta arrivato in Italia ha ripreso gli studi e adesso sogna di tornare un giorno nella sua terra africana per dare una mano a renderla migliore.
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