martedì 28 febbraio 2023
Il cardinale gesuita spiega il metodo preghiera ignaziano alla luce dell'invito di papa Francesco a vivere questi giorni di ritiro per la Curia Romana «in modo personale in silenzio e preghiera»
Papa Francesco durante il corso di Esercizi Spirituali alla casa del Divin Maestro ad Ariccia nel 2019 nella prima settimana di Quaresima

Papa Francesco durante il corso di Esercizi Spirituali alla casa del Divin Maestro ad Ariccia nel 2019 nella prima settimana di Quaresima - Vartican Media

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Da domenica pomeriggio fino al prossimo venerdì saranno sospesi tutti gli impegni pubblici di papa Francesco. Compresa l’udienza del mercoledì. Come tradizione per i membri della Curia Romana nella prima settimana di Quaresima è previsto un periodo di ritiro spirituale. Per il terzo anno consecutivo il Pontefice non si recherà alla Casa del Divin Maestro ad Ariccia, alle porte di Roma, per partecipare al tradizionale corso di Esercizi spirituali: l’ultimo ad essere predicato (a cui non presenziò Francesco per un’indisposizione di salute) è stato quello guidato dal gesuita e biblista Pietro Bovati nel 2020. Papa Bergoglio, come già aveva fatto a inizio Quaresima nel 2022, ha esortato tutti i membri della Curia Romana (dai capi Dicastero ai superiori ai cardinali residenti a Roma) a «vivere in modo personale un periodo di Esercizi Spirituali, sospendendo l’attività lavorativa e raccogliendosi in preghiera».
Il cardinale Gianfranco Ghirlanda, classe 1942, gesuita romano e canonista per formazione e professione - è stato tra gli estensori delle bozze preparatorie della Costituzione apostolica Praedicate Evangelium che ha portato a un totale riassetto della Curia Romana voluto da Francesco - coglie in questo appuntamento l’occasione per riappropriarci di noi stessi e avere un autentico colloquio interiore con il Signore. «Certamente Dio si può comunicare a ciascuno di noi come, quando e dove vuole. Io porto come esempio che Dio può suscitare in noi la preghiera e l’unione con lui anche su un autobus molto noto a Roma come il “64”: quello che porta fino a piazza san Pietro dalla stazione Termini, solitamente zeppo di persone. Tuttavia la preghiera è facilitata dal deserto, quindi dal silenzio e dall’astensione dagli affari di tutti i giorni, che spesso ci affannano. Gesù ci è di esempio. Lui si ritirava di notte, in solitudine sul monte, per pregare. Questo non significa che Gesù non fosse continuamente unito al Padre in ogni momento della sua vita, ma sentiva il bisogno di ritirarsi in solitudine, nel contatto con la natura, per lodare, penso, la grandezza e la bellezza della creazione, e di notte, l’infinità dell’universo; in una parola, per lodare la grandezza, la bellezza e l’infinità del Creatore. Per questo papa Francesco ha chiesto che ognuno trovi un luogo, silenzioso e solitario, dove trascorre questi cinque giorni di Esercizi, che possa facilitare il raccoglimento della preghiera».

Eminenza tutti la conoscono come un noto canonista al servizio della Sede Apostolica fin dai tempi di Giovanni Paolo II ma pochi sanno che lei è anche un’autorevole guida spirituale ed esperto del Mese ignaziano (il famoso percorso spirituale del santo di Loyola da sperimentare in quattro settimane). Ci può indicare quali frutti può dare questo tipo di esperienza?
Il Mese di esercizi, insieme all’insegnamento e alla Messa e alle confessioni ogni domenica nella parrocchia di San Saba all’Aventino a Roma, è stata un’attività pastorale che dal 1977 fino ad oggi ho sempre mantenuto. La prima volta che ho dato il Mese è stato ad un diacono che ora è vescovo di una diocesi d’Italia. Fu lui a chiedermi di accompagnarlo in tale esperienza. Non avevo altra preparazione che l’aver fatto il Mese in noviziato e gli otto giorni ogni anno. Mi fidai di Dio. I frutti spirituali che vidi allora in quell’esercitante, e che ancora permangono, e la consolazione interiore che il Signore mi diede, mi persuasero a rendermi disponibile se qualcun altro me lo avesse chiesto. Ogni anno diedi il Mese a uno o due o tre persone, religiosi e religiose, laici e laiche, finché non mi fu chiesto, nel 1990, dal Seminario Romano di dare ogni anno il mese ad un gruppo di seminaristi. Ho mantenuto quest’impegno per trenta anni, anche durante il mio rettorato alla Gregoriana (2004-2010), sebbene mi comportasse sacrificio, perché ho sempre ritenuto fondamentale una formazione spirituale dei seminaristi basata su un’esperienza profonda di preghiera, nell’apprendimento di un metodo sperimentato, quale quello degli Esercizi ignaziani, e nell’acquisizione del discernimento spirituale come pratica di vita. E ancora oggi dedico il mese di agosto per questo tipo di esperienza spirituale.
Qual è, a suo giudizio, il segreto più grande che custodisce questo tipo di pratica di orazione?
Certamente uno dei frutti che ho potuto cogliere in tanti anni di esperienza in chi pratica gli Esercizi spirituali e in modo speciale il Mese ignaziano è sicuramente quello di apprendere come integrare tutta la propria vita, con i suoi aspetti positivi luminosi, ma anche quelli negativi, di sofferenza e di tenebre, segnati dal peccato, e sperimentare che tutta la propria esistenza, e non un’altra, è amata da Cristo, fino a dare la vita per essa. Altro frutto, nella pratica del metodo di preghiera proposta da sant’Ignazio, è l’apprendimento del linguaggio di Dio, quindi del discernimento degli spiriti, proprio attraverso l’esperienza della desolazione e della consolazione.
La settimana di ritiro spirituale per la Curia Romana fu istituita da papa Pio XI con l’enciclica Mens Nostra (1929). Papa Ratti spiegò in quel frangente che gli Esercizi Spirituali (in particolare quelli ignaziani) costringono «l’uomo all’interiore lavoro dello spirito alla riflessione, alla meditazione, all’esame di se stesso».
Certamente ciò che diceva Pio XI è vero. Gli Esercizi ignaziani sono un metodo che la persona deve apprendere ad applicare e a saper usare, senza assolutizzarlo, altrimenti diventa un impedimento all’azione della grazia. È un’attività d’introspezione compiuta insieme allo Spirito. Si tratta di un lavoro spirituale non psicologico, anche se i due campi non sono separati, sebbene distinti. Gli Esercizi alternano tempi di contemplazione – uscire da se stessi – per immergersi nel mistero di Dio, nel mistero di Cristo, e momenti di introspezione, di esame di sé e della propria azione – rientrare in se stessi – per scoprirsi amati da Dio così come si è. In questo si apprende ad essere contemplativi anche nell’azione.
Papa Francesco in molti atti del suo magistero ordinario ha parlato dell’importanza del discernimento. Dal suo punto di vista quali doni interiori in un autentico «discernimento degli spiriti» come ci indica Ignazio si possono raccogliere in questa “breve” settimana di Esercizi?
Se la persona entra anche per solo cinque giorni di Esercizi con una buona disposizione all’azione della grazia, certamente può almeno individuare quali sono gli attaccamenti che al momento gli impediscono il progresso spirituale: attaccamenti ai beni materiali, alla “vana gloria del mondo”, a quella che papa Francesco chiama la “mondanità spirituale”, alle proprie idee e progetti, alla propria valutazione della situazione attuale del mondo e della Chiesa, alle proprie comodità, ecc. Se li individua sinceramente, almeno sorgerà nell’esercitante il desiderio di distaccarsene. E se il desiderio è sincero inizierà un cammino di liberazione.


Gianfranco Ghirlanda nel giorno della sua creazione a cardinale il 27 agosto 2022 da parte di papa Francesco

Gianfranco Ghirlanda nel giorno della sua creazione a cardinale il 27 agosto 2022 da parte di papa Francesco - Pontificia Università Gregoriana

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