E se proprio questo fosse il compito di un Papa? Far incontrare la terra e il Cielo; far camminare chi è paralizzato dalla rassegnazione; far uscire chi nella luce si sente disorientato e si rifugia nella penombra protettiva; rincuorare chi teme le periferie e gli incontri che vi si possono fare, chi trema di fronte alla diversità non sapendo più confrontarsi con chi non è identico a lui; invitare a ragionare, a ricordare, a sperare chi ritiene di non aver bisogno di nulla se non di se stesso e delle fragili certezze a cui è aggrappato. Tutto quello che ha fatto sabato a Milano, e molto altro.
Francesco sabato a Milano, ossia nell’arcidiocesi più grande, formidabile e organizzata d’Italia e d’Europa e (forse) del mondo. Consapevole e giustamente orgogliosa di ciò. Che cosa potrà mai conoscere della millenaria Chiesa ambrosiana chi arriva da una Chiesa, quella argentina, che è come una bambina di fronte al nonno? Che cosa potrà mai insegnarle? Infatti Francesco non insegna nulla. Dà l’esempio, abbraccia, compie gesti, parla sì ma senza il tono del professore che istruisce, ammonisce e premia. Umilmente invita, questo sì. Ed è un invito a cui ormai siamo abituati, racchiuso in una sola parola: periferie.
Arriva alle Case Bianche, limite orientale della metropoli, e subito ricorda quale sia «la sollecitudine della Chiesa, che non rimane al centro ad aspettare, ma va incontro a tutti». Tutti, anche la famiglia d’altra fede che accoglie il Papa. Il centro non aspetta. Infatti va incontro al Papa, sotto forma di un’immagine restaurata. Il “centro” è la Madunina, che te brillet de lontan, appollaiata lucente in cima al Duomo. Subito dopo i ruoli si ribaltano ed è Francesco che muove dalla periferia al centro e va a trovare la Madonnina a casa sua. Ma poi il viaggio prosegue verso un’altra periferia, stavolta esistenziale perché materialmente è a due passi da Sant’Ambrogio: il carcere di San Vittore, dove Bergoglio s’inabissa, nascosto a tutti, soprattutto agli sguardi voraci di foto e telecamere, e qui incontra chi sa lui soltanto, ascoltando e dicendo ciò che sa lui soltanto.
Ma nel Duomo avviene un altro incontro che scardina grotteschi luoghi comuni, quello di un Papa tutto dedito a periferie e poveri, perfidamente contrapposto a una Chiesa che invece dovrebbe stare in ginocchio, celebrare e pregare. Papa Bergoglio e l’arcivescovo Scola si scambiano i doni: il primo offre un calice, il secondo 50 case per chi ne è senza da parte della Caritas ambrosiana. Non doveva essere il contrario? Invece il Papa “tutto terreno” indica il Cielo, e Milano offre la sua operosità “in uscita”. Cielo e terra si toccano, liturgia e carità si abbracciano: dentro il Duomo, ieri, un semplice gesto dimostra che carità e liturgia non possono fare a meno l’una dell’altra, per non perdersi entrambe.
Tenere insieme, non avere paura della diversità. Ogni intervento del Papa, sabato, è in questa direzione. La Chiesa, ricorda, «è una in un’esperienza multiforme». Guai a confondere «l’unità con l’uniformità». Mai «cedere alla rassegnazione». Alle suore, sempre più “minoritarie” e anziane, sorride: «Andate nelle periferie. Scegliete le periferie, risvegliate processi più che occupare spazi, accendete la speranza spenta e fiaccata da una società che è diventata insensibile al dolore degli altri».
E tutti, tutti quanti fate discernimento, che significa anzitutto avere memoria, risvegliarla, custodirla. Come Maria (siamo all’omelia al Parco di Monza e il Vangelo è quello dell’Annunciazione), fare memoria e «cooperare con la creatività dello Spirito». Le parole sono dirette agli ambrosiani: «Milanesi, sì, ma parte del grande popolo di Dio. Un popolo formato da mille volti, storie e provenienze, un popolo multiculturale e multietnico. Questa è una delle nostre ricchezze. È un popolo chiamato a ospitare le differenze, a integrarle con rispetto e creatività (…), un popolo che non ha paura di dare accoglienza a chi ne ha bisogno perché sa che lì è presente il suo Signore». Inutile fingere. I cuori induriti, anche nella comunità ecclesiale, sono in aumento. Insicurezza e paura mietono facili vittime. Ma Bergoglio evoca i volti di chi, nel passato, ha fatto la ricchezza della Chiesa ambrosiana: santi, missionari, laici…
«Tanti volti che, superando il pessimismo sterile e divisore», si sono aperti agli altri. Cielo e terra si sono incontrati, sabato. Aprendosi al mondo. Anche ai genitori dei ragazzi allo Stadio Meazza – ragazzi a cui parla a lungo a braccio, divertendosi – rammenta la lezione della pluralità come ricchezza: «La conoscenza è multiforme, mai uniforme », e l’insegnamento è «poliedrico, non lineare». Chi davvero sa guardare il Cielo, in ginocchio, nel mondo corre, dal centro alle periferie, andata e ritorno, senza paura.