sabato 4 gennaio 2014
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Potrebbe sembrare un triste elenco di morte, ma in realtà è il resoconto di una Chiesa viva, che in tutto il mondo spesso è voce scomoda del Vangelo e quindi oggetto di violenza e repressione. Va letto in questa luce l’elenco degli operatori pastorali (sacerdoti, religiosi, religiose e laici) uccisi nel 2013. Il «rapporto» redatto da Fides, l’agenzia delle Pontificie Opere Missionarie, e pubblicato ieri, infatti, non solo riporta una triste lista di nomi – ben 22 per l’anno appena chiuso, rispetto alle 13 del 2012 – di persone uccise mentre erano impegnate nella pastorale, ma offre l’occasione per riflettere sulla «fecondità» e la necessità di un annuncio del Vangelo sempre più incisivo proprio là dove la dignità umana è messa più a rischio.I datiNel conteggio degli operatori morti in modo violento nel 2013 appaiono 19 sacerdoti, una religiosa e 2 laici, che si aggiungono alle 1013 vittime stimate secondo i dati di Fides dal 1980 al 2012 (fino al 1989 però i dati riguardano solo i missionari ad gentes per estendersi a tutti gli operatori pastorali dal 1990). I dati forniscono una conferma: la categoria più colpita è quella dei sacerdoti, che dal 1990 a oggi contano ben 507 vittime della violenza (cui va aggiunto un prete californiano ucciso nella notte tra il 31 dicembre 2013 e il 1° gennaio 2014). Con i dati del 2013, inoltre, per il quinto anno consecutivo la terra più «insanguinata» appare l’America, in particolare l’America Latina dove sono morti 15 sacerdoti (7 in Colombia; 4 in Messico; uno in Brasile; uno in Venezuela; uno a Panama; uno ad Haiti). In Africa sono stati uccisi un sacerdote in Tanzania, una religiosa in Madagascar e una laica italiana in Nigeria, Afra Martinelli. In Asia le vittime sono state tre: un sacerdote in India e uno in Siria, un laico nelle Filippine. Nel Vecchio Continente, infine, l’unica vittima è stato don Michele di Stefano, 79 anni, della diocesi di Trapani.Chi sonoNel rapporto, come di consueto, Fides sottolinea che «non viene usato di proposito il termine "martiri", se non nel suo significato etimologico di "testimoni", per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro». I dati, infatti, riguardano tutti gli operatori pastorali morti in modo violento e non di tutti è possibile avere notizie precise riguardo le circostanze della morte. Di certo l’aspetto più evidente è il fatto che la maggior parte di questi operatori sono stati uccisi «in seguito a tentativi di rapina o di furto, aggrediti in qualche caso con efferatezza e ferocia». Un segno, questo, «del clima di degrado morale, di povertà economica e culturale, che genera violenza e disprezzo della vita umana».Segni di speranzaFides, infine, offre altri dati riguardanti l’ultimo anno, che dimostrano come da queste morti violente, in realtà, possa nascere anche una luce di speranza. Nel 2013, infatti, è stato aperto il processo di beatificazione delle sei missionarie italiane delle Suore delle Poverelle di Bergamo, morte in Congo nel 1995 per aver contratto il virus ebola pur di non lasciare la popolazione priva di assistenza sanitaria, definite «martiri della carità». Si è poi chiusa la fase diocesana del processo di beatificazione di Luisa Mistrali Guidotti, membro dell’Associazione Femminile Medico Missionaria, uccisa nel 1979 nell’allora Rhodesia mentre accompagnava in ospedale una partoriente a rischio. Lo scorso 9 dicembre, inoltre, è stato riconosciuto il martirio di padre Mario Vergara, missionario del Pime, e del catechista laico Isidoro Ngei Ko Lat, uccisi in Myanmar nel 1950. Il 25 aprile, infine, è stato beatificato don Pino Puglisi.
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