venerdì 15 ottobre 2021
Dalla Terra Santa agli altopiani della Bolivia, alle periferie più difficili di Roma La cooperante Pina Belmonte: a Betlemme con quei bambini mi sono sentita a casa
Pina Belmonte sotto la colomba disegnata da Banksy a Betlemme

Pina Belmonte sotto la colomba disegnata da Banksy a Betlemme - Collaboratori

COMMENTA E CONDIVIDI

La pandemia ha bloccato il suo visto e i suoi viaggi in Terra Santa, dove assisteva da oltre otto anni anziani e persone con gravi disabilità. Ma la cosentina Pina Belmonte, 36 anni, ha approfittato di questo stop forzato per raccontare la sua esperienza alla giornalista e scrittrice Beatrice Tauro, che l’ha sintetizzata nel volume Palestina al habiba! Storia di una cooperante in Terra Santa, edito da Masciulli Edizioni. I proventi delle vendite saranno interamente devoluti all’associazione “Aiuto Bambini Betlemme”, che sostiene il Caritas Baby Hospital di Betlemme, aperto dal 1953 per accogliere piccoli pazienti con le loro mamme di qualsiasi religione ed estrazione sociale.

«Lo scorso anno ne sono stati curati 35mila fra gli ambulatori e i 74 letti dei reparti, ma a causa del Covid e delle restrizioni negli spostamenti, arrivano più gravi. Io ho visitato l’ospedale alcuni anni fa e sono rimasta in contatto, collaborando con l’associazione », riferisce Pina, in questi mesi impegnata in Calabria per il tirocinio come operatrice socio-sanitaria. «Il mio primo viaggio a Gerusalemme risale a dieci anni fa: tramite il Patriarcato Latino di Gerusalemme, contattato prima dal mio parroco e da me per e-mail, ho trascorso alcune settimane come volontaria nel centro anziani di Taybeh, poi presso l’Hospice Sant Vincent de Paul gestito dalle suore di San Vincenzo de’ Paoli».

In cerca del suo posto nel mondo, Pina chiedeva in preghiera «al Signore di capire la mia strada. I miei genitori erano perplessi, ma rassicurati dal fatto che il nostro parroco mi incoraggiasse ad andare: lui in precedenza ci era rimasto per sei mesi. Sono partita senza sapere dove sarei stata mandata prima come volontaria, poi come cooperante, dando la mia dispo- nibilità. In mezzo alla sofferenza di persone fragili, ho provato subito un’empatia molto forte; fin dal primo giorno quello che facevo era molto naturale, come se l’avessi fatto da sempre, e pian piano ho compreso quanto fosse un privilegio assisterli, prendermi cura anche dei loro corpi. E volevo restare, perché mi sentivo a casa mia. A volte entravo in crisi, ma i frati minori e le suore mi sostenevano e incoraggiavano: non è facile vivere quotidianamente in un Paese segnato da continue tensioni, ma con una speranza di pace radicata nel profondo. D’altra parte la Terra Santa è una scuola di vita in tutti i sensi e sotto tutti i punti di vista, per il suo mix di culture, tradizioni e religioni: ho imparato, ad esempio, a continuare a lavorare pur sentendo fuori spari e sirene. Ho conosciuto tre Patriarchi latini in questi anni: loro e la gente incontrata mi hanno insegnato a resistere e ad adattarmi a tutto».

Dopo il diploma tecnico-turistico a Rende, conseguito anche presentando una tesina sul confitto israelo-palestinese, Pina aveva conseguito un diploma per operatore pastorale e intrapreso un percorso universitario di Studi arabo-islamici e del Mediterraneo, attratta dal Medio Oriente.

La full immersion in Terra Santa, oltre a farle imparare l’arabo e l’inglese, le ha fatto «scoprire tanti amici oltre i muri, il privilegio di camminare dov’è passato Gesù, una preghiera che diventa quotidianità, una Chiesa dal grande coraggio con religiosi che si spendono per la gente. Ho sperimentato l’amore gratuito, soprattutto ricevuto, assistendo le persone con disabilità gravi: in loro vedevo bellezza, affetto sincero, dignità nonostante la malattia. E quando tornavo, mia madre mi diceva che avevo una luce diversa nello sguardo».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: