martedì 5 aprile 2022
Il sacerdote più anziano della Chiesa partenopea ha conosciuto ben sette arcivescovi da Ascalesi a Battaglia: in lui colpisce la grande semplicità
Don Vincenza Della Corte durante una celebrazione eucaristica

Don Vincenza Della Corte durante una celebrazione eucaristica - :

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Sul cancello dell’orto, all’ingresso della sua casa, una piastrella in maiolica con la scritta “Pausa”. In casa, sul camino, un’altra piastrella con la scritta: “La mia cella”. Monsignor Vincenzo Della Corte, napoletano, mantiene – alla sua età – prontezza di spirito e originalità. Il 15 gennaio di quest’anno ha compiuto 100 anni.

È il sacerdote più anziano della diocesi.

«L’orto è lo spazio dove coltivo la mia passione per la terra», ci spiega. Eh sì, infatti, monsignor Della Corte continua a curare le sue piante e a trovare «momenti di pausa a contatto con la natura». Poi, la casa «il luogo dove trovo ristoro» e, infine, la musica. «Sono stato organista della cattedrale», sottolinea con orgoglio.

Cita il suo maestro: «Monsignor Postiglione insegnante al Conservatorio san Pietro a Majella e – aggiunge – prima dell’attuale monsignor De Gregorio, abate della Cappella del Tesoro di San Gennaro, suonavo io». Nel parlare con lui si attraversano le varie fasi della storia della Chiesa di Napoli. «Ho incontrato sette arcivescovi – ci dice subito – da Alessio Ascalesi a Domenico Battaglia. Ho conosciuto anche Marcello Mimmi, Alfonso Castaldo, Corrado Ursi, Michele Giordano, Crescenzio Sepe. Ognuno con la sua particolarità e ognuno ha portato una novità nella nostra bella Chiesa».

Di Ascalesi – ad esempio – segnala la grande umiltà. «Mi ricordo che da giovane seminarista una sera portandogli la cena, mi inchinai per lustragli le scarpe e lui mi intimò di non farlo mai più». Di Battaglia, l’attuale arcivescovo, «la semplicità: mi ha dato il suo numero di telefono e lo chiamo ogni tanto». Don Vincenzo, infatti, usa il cellulare e fino a dicembre guidava l’auto. «Ora non guido perché sono caduto – racconta – e mi sono rotto il femore. Il medico me lo ha sconsigliato e mi accompagnano, ma la cosa più importante è che celebro di nuovo la messa». Tre passioni: l’Eucaristia, gli ammalati e l’orto. Sorride: «Sì, prima il mio momento di vera pausa era la terra. Ora mi aiutano e mi dedico soprattutto alla pastorale degli ammalati e alle confessioni».

Ordinato nel 1946, ha compiuto 75 anni di sacerdozio il 16 giugno scorso, che ha celebrato con la comunità di santa Maria di Loreto ad Ercolano (paese alle pendici del Vesuvio, ndr). «Sono stato ordinato quando da poco era finita una guerra. Ho visto feriti, morti, dispersi. chi l’avrebbe mai detto che ne avrei visto un’altra…». Si è dedicato quasi sempre agli ammalati. Cappellano degli ospedali riuniti «Si chiamavano così a quei tempi – dice – raggruppavano le maggiori strutture (Incurabili, Loreto, Cardarelli, Annunziata) e sono sempre stato accanto al mondo della sofferenza: fasciare le ferite dell’anima e del corpo».

Da qui, un’altra devozione speciale: «alla Madonna di Lourdes e così – dove vivo – ad Ercolano avevo ricreato una “piccola grotta di Lourdes” per invitare alla devozione alla Madonna. Inviai la foto al vescovo di Lourdes che mi ha mandato una reliquia della grotta stessa. Per me è stato un momento di grande grazia». Da gennaio è tornato al cimitero dove, nella cappella del “Risorgeremo”, celebra la Messa.

«Il Signore non mi fa mancare la sua benedizione. Da quando sono nato. Anzi dal giorno del Battesimo. Mi hanno raccontato che mia nonna - accanto al nome Vincenzo - volle far aggiungere il nome di Salvatore spiegando che sarei diventato sacerdote». Nel nome, una missione. Che continua «Sempre per grazia di Dio» – dice don Vincenzo. E – come auspicio – per quest’anno? «La salute, naturalmente. Per me e per tutti».

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