sabato 6 aprile 2013
​«La questione educativa come centrale e vitale, come risposta seria e concreta a tutte le emergenze che viviamo. È una sfida». Già accolta e rilanciata, nelle parole di don Marco Mori, presidente del Forum degli oratori italiani.

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«Questo documento ha il coraggio di porre la questione educativa come centrale e vitale, come risposta seria e concreta a tutte le emergenze che viviamo. È una sfida». Già accolta e rilanciata, nelle parole di don Marco Mori, presidente del Forum degli oratori italiani. Partiamo dal significato pastorale della Nota. Si è trattato di un passaggio bello e coraggioso perché i vescovi, riconoscendo gli oratori come un patrimonio pastorale ed educativo di tutta l’Italia, indicano in questo luogo e in questo stile educativo un dono particolare e un impegno da tenere vivo. Penso che questa volontà regali grande soddisfazione a chi opera negli oratori e trasmetta ancora di più senso di responsabilità. Una volontà che traccia una strada tangibile, palpabile. L’iniziativa dei vescovi offre a tutta la Chiesa italiana la possibilità non solo di pensare in termini teorici la questione educativa, posta al centro di questo decennio, ma dentro un approccio molto concreto, dentro le vicende reali delle nostre comunità: riconosce la loro storia educativa e, partendo da lì, condivide criteri e scelte che la possano far crescere. È fondamentale sentire il servizio magisteriale dei nostri pastori come incoraggiante e stimolante per la vita concreta delle nostre comunità: i vescovi che parlano di oratorio li rendono più simpatici, nel senso più nobile del termine. Che lettura si può dare, a caldo, del documento? Il testo è incoraggiante. Serve la fatica di tanti oratori, magari un po’ stanchi e avviliti, trasmette il coraggio di proseguire ridando vitalità e centralità alle cose essenziali. Serve la gioia di altri oratori nuovi che stanno sorgendo: a loro suggerisce le scelte strategiche da mettere in campo, gli ingredienti educativi da valutare come necessari. Come va utilizzata la Nota? Penso che possa essere utilizzata da ogni comunità educativa come uno specchio: ogni oratorio vi troverà tratti familiari, ma anche qualche novità o attenzione con cui confrontarsi e crescere nel servizio educativo ai ragazzi.Quali ricadute avrà questa iniziativa? Il documento esce in un momento particolarissimo per le nostre comunità e per tutta la società italiana sul fronte educativo. Spero che la ricaduta non sia quella di avere più oratori ma di essere più oratorio. I passaggi pazienti che il documento offre all’intelligenza pastorale delle comunità sollecitano in questa direzione: tornare a ripensare globalmente l’educare nelle nostre comunità come un processo paziente, poliedrico, attento ai bisogni ma non appiattito su di essi; sentire la presenza delle persone come il dono educativo per eccellenza; porre attenzione sulla verità del processo educativo in tutti i suoi passaggi; tenere aperto uno spazio di reale soggettività del mondo giovanile; annunciare il Vangelo senza contrapporlo all’umano, o viceversa; riattivare il servizio educativo delle comunità come un modo di rispondere alla propria vocazione e di trasmettere vita secondo lo stile del Vangelo… Quanto sarà difficile affrontare questi temi in un panorama socio-culturale complesso se non distante come quello odierno? Lo ripeto, si tratta di una sfida: a continuare ad essere oratorio, a rimanere fedeli al proprio stile. Se mettiamo al centro i ragazzi e i loro bisogni facciamo una cosa che pochi, purtroppo, oggi fanno. È quando, invece, scimmiottiamo troppo superficialmente altri approcci che rischiamo di diventare vecchi e, a tratti, ridicoli. Faccio un esempio: se un oratorio è un perfetto organizzatore di attività e di servizi ma rinuncia alla relazione personale, all’attenzione alle storie, al protagonismo reale dei ragazzi, alla costruzione di significati che vanno oltre l’immediato o il funzionale, all’apertura allo stile del Vangelo, allora diventa un perfetto centro commerciale, sempre aperto e moderno. Serve solo per comprare e spendere, non per crescere. Mi basterebbe che gli oratori restassero semplici, aperti, capaci di programmarsi ma senza esasperarsi, intelligenti nell’amare le persone, attenti a cambiare le proprie attività per incontrare di più, senza cedere all’illusione dell’educazione perfetta. Un po’ oratori di periferia, direbbe papa Francesco: ed è giusto così!
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