giovedì 19 luglio 2018
La Lettera pastorale dei vescovi toscani nel 50°della morte del priore di Barbiana.La riflessione dei presuli sul valore della comunicazione e della formazione
Don Milani ci insegna la forza della parola
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Don Milani non aveva dubbi: è la lingua che fa uguali. «Senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia», ha detto il Papa in visita a Barbiana riconoscendo al “priore” il merito di avere insegnato che la parola può «aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole ». Per questo i vescovi toscani hanno voluto, tra i molti temi sui quali don Lorenzo Milani si è soffermato nella sua vita, riportare all’attenzione «la sua acuta riflessione sul primato della comunicazione e sul valore della parola».

Lo hanno fatto addirittura con una lettera pastorale, “La forza della parola”, a cinquant’anni dalla morte del Priore di Barbiana e a un anno dalla preghiera di Francesco sulla sua tomba. Pubblicata dalle Edizioni Dehoniane (pagine. 88, euro 4,50), “La forza della parola. Lettera su comunicazione e formazione a 50 anni dalla morte di don Lo- renzo Milani” vuole essere «un appello per non dimenticare il fascino della parola che è tra i principali strumenti che rendono possibile la comunicazione umana », ma anche «un invito a metterci in cerca di quelle parole nuove - magari antiche, ma riscoperte nel loro senso più profondo e nascosto - che ci aiutino a illuminare il futuro verso il quale ci muoviamo».

La Chiesa, in questo percorso, è chiamata a un ruolo fondamentale avendo il privilegio e il compito di evangelizzare misurandosi da sempre con l’evoluzione della parola. La comunicazione è parte integrante della vita e della storia dei cristiani, anche perché è parte integrante della vita dell’uomo. Comunicare è una delle prime esigenze dell’essere umano, che avverte la necessità di un segno, di un veicolo di comunicazione, di un linguaggio. Persino Dio ha avuto bisogno della parola per creare il mondo: «E Dio disse...». Ma non solo: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste».

Un’attenzione alla parola che ha spinto anche i poeti, per i quali la parola è tutto, a trasporre il famoso prologo di Giovanni. È il caso di Mario Luzi nell’epigrafe al libro “Per il Battesimo dei nostri frammenti”: «In lei (la parola) era la vita; e la vita era la luce degli uomini». Il grande poeta fiorentino lo si ritrova anche nella Lettera dei vescovi toscani con la sua nota invocazione: «Vola alta, parola, cresci in profondità, / tocca nadir e zenith della tua significazione, / giacché talvolta lo puoi».

Una citazione che tradisce il valore letterario di un documento pastorale che nasce in una terra, la Toscana, in cui l’elaborazione della lingua ha trovato protagonisti di eccel- lenza e stagioni di grande fecondità. Ma adesso, a giudizio dei vescovi toscani, c’è soprattutto da fare i conti con le infinite possibilità di connessione offerte dai nuovi strumenti che, purtroppo, non stanno producendo un’effettiva crescita della comunicazione né, tantomeno, un incremento della sua qualità. È paradossale che la parola umana, nel tempo in cui la comunicazione si moltiplica e tocca ogni sfera della vita, subisca un vero e proprio esilio, un’incapacità a essere utilizzata con l’essenzialità e la forza che possiede. A maggior ragione, sull’esempio di don Milani, dobbiamo prendere coscienza che esistono parole piene e parole vuote, parole vive e parole morte, parole di luce e parole di tenebra. Ai credenti il compito di non contraddire chi siamo con ciò che diciamo. C’è poi, a parte la valenza formativa della parola, un altro aspetto che coinvolge più direttamente il ministero dei vescovi ed è «il profondo rinnovamento del linguaggio dell’annuncio della fede promosso dal pontificato di papa Francesco ».

Da qui il tentativo di tradurre in percorsi concreti le indicazioni dell’Evangelii gaudium. Infine, prima delle diciotto firme, i vescovi toscani si «rendono conto di avere, per così dire, solo alzato il velo su una questione di grandissimo rilievo, che continuerà a sfidarci per molti anni a venire». Ma intanto hanno saldato «il debito di riconoscenza accumulato nei confronti dell’esperienza e dell’insegnamento di don Lorenzo Milani».

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