sabato 6 luglio 2013
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Un’icona «incalzante e decisiva». Monsignor Piero Coda si affida a due aggettivi per descrivere la scelta compiuta da papa Francesco di indicare la luce come conduttore cardine per «raccontare» la fede nella sua prima enciclica. Dall’istituto universitario «Sophia» che presiede a Loppiano, la cittadella del movimento dei Focolari a trenta chilometri da Firenze, il teologo spiega come questo «grande e originario simbolo dell’esperienza cristiana abbia una particolare rilevanza oggi, al termine della parabola della modernità». «Abbiamo assistito a un paradosso – afferma Coda –: la fede è stata travisata fino a diventare il luogo dell’oscurità. Adesso proprio il fallimento di una ragione autoreferenziale ci spinge alla riscoperta della fede che è capace di squarciare il buio e di aprire radure fulgide nell’esperienza umana personale e sociale». Il Papa torna più volte su un’espressione: «affidabilità di Dio». «È un tema centrale – dichiara il teologo –. Perché dice che la fede non è un’esperienza sentimentale o che prescinde dalla razionalità. Essa si basa, invece, sulla credibilità di colui che testimonia Dio, ossia Cristo». Altra «questione» è quella della memoria. E il Papa definisce il credere memoria futuri. «Un ossimoro per sottolineare che la fede incardina l’esistenza dell’uomo in un evento che è già accaduto, ossia l’incontro del Signore con l’umanità, ma lo apre al futuro che sta realizzandosi con l’avvento di un Dio che riempie i suoi desideri più profondi». Anche i sensi concorrono alla conoscenza della fede, si legge nell’enciclica. «La fede tocca l’interiorità più profonda della persona che, però, è raggiunta a partire dall’esteriorità. Nella fede si tratta di ascoltare, vedere, toccare. Ma non dobbiamo fermarci alla materialità di ciò che accade. I sensi vanno accesi dalla luce della fede, come ci ricorda la liturgia, mediante l’azione dello Spirito Santo che promana da Cristo risorto e trasfigura la vita». Riflettendo sempre sulla conoscenza, il Papa invita a seguire la logica del Figlio. «La fede – chiarisce il teologo – non è solo guardare a Cristo ma è guardare con Gesù per trasformare la storia del mondo. In questo senso la teologia ha un compito importante nell’areopago dei saperi: quello di costruire una visione del mondo che abbia nello sguardo la luce dell’amore di Dio e proietti questa luce sulle delicate questioni che travagliano la società». In Lumen fidei Francesco avverte anche che fuori della Chiesa «la fede perde la sua misura». «La fede – spiega Coda – interpella la coscienza di ciascuno, ma al tempo stesso apre l’io al noi. Quindi la fede è esperienza di quella famiglia in cui tutti ci riconosciamo figli dell’Abbà e fratelli fra noi in Cristo Gesù: questa è la Chiesa». Nell’ultimo capitolo si declina la bellezza di credere nella città. «Qui la fede – conclude il teologo – è chiamata a diventare profezia, ossia lievito di una società nuova, illuminata dalla giustizia e della libertà. Una società che, come direbbe Francesco, frequentando assiduamente le periferie della storia, sa veramente vivere con gli occhi di Cristo che poi sono quelli di un padre che è amore».
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