sabato 6 luglio 2013
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Andare oltre il tempo e lo spazio. Non è l’ennesima frontiera di una teoria scientifica. È, invece, il richiamo che arriva dall’enciclica Lumen fidei quando papa Francesco esorta a non lasciarsi «rubare la speranza» e a non permettere «che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino, che frammentano il tempo, trasformandolo in spazio». Un passaggio che, insieme a molti altri, interrogherà gli uomini di scienza. «Lo spazio-tempo della relatività non è più pensabile come entità assoluta e in esso i fenomeni appaiono effettivamente congelati – spiega l’astronomo Piero Benvenuti –. Solo il kairós, il tempo della fede, ci permette di uscire verticalmente dal tunnel spazio-temporale e guardare con speranza a un reale futuro per la persona». Docente di astrofisica all’Università di Padova, già responsabile scientifico europeo del progetto «Hubble», Benvenuti legge il rapporto fra fede, scienza e tecnologia che emerge dall’enciclica partendo dall’ultimo Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione. «NeiLineamenta – afferma – scienza e tecnologia erano presentate come una condizione di cui tenere conto nel rinnovato annuncio del Vangelo in Occidente. Qui, invece, diventano elemento insostituibile per evitare che la fede venga relegata in un ambito privato, quasi sentimentale, separato dalla globalità della vita reale». Secondo l’astronomo, il rapporto fra fede e scienza è trattato nel testo «in modo particolarmente sistematico». «All’inizio, citando Nietzsche, viene sfatato uno storico preconcetto che si riscontra ancora oggi in un certo ateismo, ovvero che il credere si opporrebbe al cercare. Invece senza una “luce grande”, veramente capace di illuminare il futuro, la scienza e la tecnologia rischiano di trasformarsi in idoli che rispondono a necessità immediate e individuali, ma non sanno distinguere il bene dal male. Così il futuro diviene incerto e confuso». Il tema è ripreso nella parte centrale dove si sottolinea come il ruolo della fede non contrasti col cammino autonomo della scienza. «La scienza, grazie al suo metodo sperimentale, ci assicura che l’interpretazione del reale, attraverso prove di falsificazione e verifiche, procede verso la verità. Una verità che rimane parziale se non si completa, senza però alienarsi, con la verità dell’amore universale. In questo modo la scienza viene stimolata dalla fede a recuperare il senso critico e a non accontentarsi delle formule, ma a vedere con meraviglia, attraverso una razionalità allargata, che la natura è sempre più grande». Nel paragrafo La fede e la ricerca di Dio Benvenuti individua il «passo più innovativo». «È quello in cui si evidenzia come l’aspirazione alla verità che anima gli uomini di scienza sia già ricerca di Dio, anche se a volte inconsapevole. Si tratta di un invito esplicito a tutti gli uomini amanti della verità, credenti o meno, a darsi con fiducia la mano per camminare insieme». E nel passaggio dedicato alla teologia il docente scorge «una raccomandazione ai teologi di non trascurare la scienza. La teologia, intesa come scienza della fede, è l’interlocutore naturale della ricerca scientifica e dovrebbe essere il veicolo attraverso il quale il progredire della conoscenza acquista significato alla luce della fede».
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