lunedì 17 gennaio 2022
Ogni anno il 17 gennaio si celebra la Giornata per il dialogo ebraico-cristiano. Evento quanto mai importante di fronte al crescere di antigiudaismo e antisemitismo. Parla Marco Cassuto Morselli.
Il Papa nella Sinagoga di Roma il 17 gennaio 2016

Il Papa nella Sinagoga di Roma il 17 gennaio 2016 - Fotogramma

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A volte la storia sembra non insegnare nulla. O forse siamo noi che ci tappiamo le orecchie, che chiudiamo gli occhi per non vedere la sofferenza dell’altro, che allunghiamo il passo davanti all’orrore permesso dalla nostra indifferenza. Altrimenti non si spiegherebbe l’ennesimo tragico rifiorire dell’antisemitismo, che come un’onda di vergogna non si ferma mai. Però l’antidoto esiste, la medicina è incontrarsi senza pregiudizi, si chiama conoscenza. Ingredienti intorno ai quali si articola l’appuntamento del 17 gennaio. Ogni anno dal 1990 la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei si propone proprio questo: imparare a guardarsi con cuore disarmato, riconoscendo lo strettissimo legame tra le due comunità di fede. Nel 2022 come tema per la la 33ª edizione dell’iniziativa, la Commissione episcopale Cei per l’ecumenismo e il dialogo ha scelto un passo del profeta Geremia: “Realizzerò la mia buona promessa” (Ger.29,10). «Il dialogo ebraico-cristiano si presenta ormai coma una necessità – sottolinea il professor Marco Cassuto Morselli presidente della Federazione delle Amicizie ebraico-cristiane in Italia, già docente di storia e filosofia nei licei –. Ogni tanto ci sono dei problemi ma credo sia inevitabile. Come scrive papa Francesco nella prefazione al I volume della “Bibbia dell’amicizia”, dopo 19 secoli di antigiudaismo pochi decenni di dialogo non possono risolvere tutto». Il tema della Giornata di quest’anno sembra particolarmente adatto al tempo che viviamo. «Un testo molto bello ma anche problematico – aggiunge Cassuto Morselli –. Vedo due ordini di difficoltà. Il primo, di metodo. Quest’anno infatti per ragioni sicuramente contingenti non c’è stata una scelta condivisa del tema e una duplice trattazione, com’era consuetudine. Ma credo, ripeto, che sia dipeso da ragioni particolari, come il ritardo nella nomina della nuova Commissione episcopale della Cei».

Marco Cassuto Morselli

Marco Cassuto Morselli - Immagine di repertorio


L’altra questione, mi sembra di capire, è di contenuto.

Sì, riguarda il tema della promessa, molto problematico nel rapporto tra ebrei e cristiani. Nella Bibbia ebraica la promessa è legata alla terra, la terra, appunto “della promessa”. E c’è molta differenza tra l’esilio e l’esodo, che sono categorie diverse.

Fa riferimento all’interpretazione del testo, quindi.
Bisognerebbe tenere conto di quanto è drammatico il contesto di Geremia: siamo tra la prima e la seconda deportazione a Babilonia, con il piccolo regno di Giuda lacerato tra le due grandi potenze, quella babilonese e l’Egitto. Geremia manda questa lettera da Gerusalemme agli esiliati invitandoli a non lasciarsi abbattere dalle difficoltà, dalle tragedie che vivono. Chiede di non covare sentimenti di risentimento o di vendetta ma di riprendere invece la vita, costruendo abitazioni, mettendo al mondo figli. In questo modo contribuiranno non solo al loro benessere ma a anche a quello dell’intero Paese in cui sono. Ed è quanto le comunità ebraiche hanno cercato di fare durante l’altro grande esilio, iniziato nell’anno 70 quando i Romani hanno distrutto il tempio e continuato per 19 secoli.

Cresce l'antisemitismo
La Giornata quest’anno è particolarmente importante anche per la crescente ondata di antisemitismo che si registra a tutti i livelli.

Non si può parlare di rigurgiti perché l’antisemitismo, l’antigiudaismo, che sono cose diverse ma collegate tra loro, hanno la capacità di riformularsi sempre in modi nuovi., Vuol dire che nella civiltà ebraico-cristiana c’è qualcosa di fondamentale che non è stato messo in luce, su cui non si è andati a fondo. In qualche modo non abbiamo ancora gli strumenti adeguati per riconoscere questo “anti”, questo odio per gli ebrei là dove sorge e si trasforma.

Da cosa partire per rispondere?
Il modo migliore per combattere l’antigiudaismo/antisemitismo consiste nel far conoscere l’ebraismo. E qui una delle difficoltà è numerica: gli ebrei sono molto pochi, lo 0,2 per cento della popolazione mondiale mentre i cristiani sono due miliardi. E ovunque ci sia un cristiano esiste un’immagine interiore di un ebreo. Si tratta di vedere se questa rappresentazione è di contrapposizione o no, se cioè buon cristiano vuol dire essere l’opposto di un ebreo, dove l’ebreo è il materialista, il formalista eccetera. Oppure se invece si può vivere la propria religione indipendentemente da questa ostilità nei confronti dell’altro.

In fondo è di di questo che si fa esperienza nel dialogo.
Ed è il motivo per cui i cristiani che partecipano diventano credenti migliori, non mettono in pericolo la loro fede, bensì la rafforzano. Lo vediamo a Camaldoli, sede da oltre 40 anni dei Colloqui ebraico-cristiani e ne ha fatto esperienza chi ha collaborato alla “Bibbia dell’amicizia” giunta al terzo volume. 130 studiosi, metà ebrei e metà cristiani che hanno proposto una propria lettura della Bibbia imparando a non essere messi in crisi dal fatto che l’altro possa vedere le cose in modo diverso da me.

L'eremo di Camaldoli

L'eremo di Camaldoli - Immagine di repertorio

Le amicizie ebraico-cristiane

Lei presiede le Amicizie ebraico-cristiane (Aec) italiane. Un’altra importante esperienza di dialogo.
La prima è nata a Firenze all’inizio degli ’50, attualmente in Italia se ne contano una decina, tutte piccola associazioni che si reggono esclusivamente sul volontariato e sulle quote versate dai soci. Chi partecipa non lo fa per arricchirsi o per la carriera ma perché ritiene che quel che fa sia importante. Uno degli obiettivi sarebbe di averne almeno una in ogni regione. Ma non è facile. Per esempio al Sud dopo la loro espulsione del 1510 di fatto non ci sono più ebrei. Significa che diventa molto difficile creare Aec anche se è possibile costituirne pure in assenza di comunità ebraiche. Non si tratta, infatti, soltanto di avere buone relazioni con le persone in carne e ossa ma di modificare il rapporto con l’ebraismo, dell’idea che ogni cristiano ha su cosa sia.
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