De Palo: anch'io cercavo la vita vera
di Redazione
«Per me fu uno spartiacque. Mi emozionano i miei figli che si organizzano per andare a recuperare il sacco a pelo in cantina come facemmo noi. E mi commuovo a vedere i ragazzi in ricerca come me»

Il 15 agosto 2000, a Tor Vergata, in un certo senso si è aperto un capitolo importantissimo della mia vita. Non solo perché rappresentava la conclusione di un percorso bellissimo, iniziato nel 1997 come obiettore di coscienza nel Comitato italiano per l’organizzazione della Gmg del 2000, ma anche perché fu una sorta di spartiacque per tutte le decisioni che, di lì a poco, avrei preso. Per l’uomo che sono diventato, per la mia vocazione, per il mio impegno sociale. Quella notte, a Tor Vergata, dentro il sacco a pelo, con i capelli lunghi, due orecchini e una canottiera improbabile dei Toronto Raptors (mi era arrivata la soffiata che la sede della Gmg successiva, quella del 2002, sarebbe stata proprio Toronto), è cambiata la mia vita. Come la vita di molte persone che erano lì con me.
Il discorso di Giovanni Paolo II è stato talmente importante da condizionare tutti gli anni successivi. Lì per lì, non lo nego, ci rimasi male. Non mi capacitavo del fatto che il Papa, davanti a due milioni di giovani, invece di parlare al presente, invece darci una direzione concreta, avesse orientato il suo discorso al futuro. Perché al futuro? Perché non parlare al presente? Me lo sono domandato quel giorno, e in tanti altri giorni successivi. Fino ad arrivare a una conclusione: quel messaggio era una profezia. Nel 2000, tutto sommato, il mondo non stava così male. La situazione in Terra Santa era molto più serena e pacifica rispetto a quella di oggi. Non si parlava apertamente di armi nucleari o di conflitti su scala globale. Anche a livello ambientale, la situazione era meno compromessa: la Terra era, davvero, più abitabile per tutti. Il futuro di cui parlava Giovanni Paolo II è il nostro presente. È il 2025. E oggi, quel discorso assume un significato ancora più profondo, perché oggi è il tempo in cui non dobbiamo rassegnarci: alla guerra, alla diseguaglianza che è diventata sempre più lampante – dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri – al degrado del creato, che rende questa Terra ogni giorno più inospitale.
Ed è per questo che mi commuovo, nel vedere – un quarto di secolo dopo – giovani come me, come noi, cercare ancora parole di vita eterna. Venire a Roma da tutto il mondo per cercare Gesù, per fare Chiesa, per non rassegnarsi. Per provare a cambiare e migliorare questo mondo. Mi commuovo nel vedere i miei figli che si organizzano per andare a recuperare il sacco a pelo in cantina, venticinque anni dopo i loro genitori. Sì, perché quella notte non ero solo: c’era anche quella che sarebbe diventata, di lì a poco, mia moglie Anna Chiara conosciuta alla Gmg di Parigi. Credo che Tor Vergata sia uno spartiacque importante anche per Leone XIV. Credo che la Veglia sia per lui una sorta di nuovo inizio. Ci sarà da ascoltare con grande attenzione il suo messaggio e le sue parole, perché inevitabilmente saranno una sorta profezia per gli anni a venire. Un mandato per i giovani di tutto il mondo. Abbiamo bisogno di una Chiesa, di un Papa, di giovani che diano la vita per questo mondo, che la diano riscoprendo la speranza. Perché non lo nego: i tempi sono difficili. Quando io ero giovane, il futuro era una promessa. Oggi, per i miei figli, viene percepito come una minaccia. E allora sarà bello poter condividere, genitori e figli insieme, una speranza nuova che nasce da Tor Vergata. Da un luogo, da un’esperienza concreta di Chiesa, di fede, di bellezza. © RIPRODUZIONE RISERVATA Gianluigi De Palo
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