Diventa film la luce di un Dio bambino

Vittorio Storaro firma con Carlo A. Martigli “Il romanzo del piccolo Messia”, da cui nascerà anche una pellicola: un racconto favolistico e documentato sui primi anni di Gesù
December 25, 2025
Diventa film la luce di un Dio bambino
Gerard van Honthorst, "L'Adorazione dei pastori", 1622 / WikiCommons
L’infanzia di Gesù resta uno dei grandi silenzi del Vangelo. Poche righe, un’unica annotazione decisiva – «cresceva in sapienza, età e grazia» – e poi il racconto si interrompe fino alla scena, potentissima, del dodicenne che discute con i dottori nel Tempio. In quello spazio vuoto si sono insinuate nei secoli leggende, narrazioni apocrife, devozioni popolari. Ma anche una domanda legittima e profondamente umana: come è cresciuto Gesù? Quale mondo ha abitato, quali volti, quali paesaggi hanno formato lo sguardo del Messia bambino?
È da questa domanda che nasce Il romanzo del piccolo Messia (Solferino, pagine 384, euro 21,00), firmato da Vittorio Storaro insieme allo scrittore Carlo A. Martigli, e destinato a diventare anche un film. Un progetto coltivato a lungo dal maestro della fotografia cinematografica, tre volte premio Oscar, che da credente ha sentito il bisogno di tornare all’origine, là dove tutto ha avuto inizio.
«La figura di Gesù è stata il fondamento della mia vita, umana oltre che professionale», raccontava Storaro ad Avvenire anticipando il progetto, presentato poi al Lecco Film Festival, promosso dalla Fondazione Ente dello Spettacolo. «Mi ha sempre affascinato la sua storia, che ho approfondito in tutte le sue sfaccettature, studiandola attraverso le arti: dalla pittura alla scultura, fino al cinema». Ora quel percorso confluisce in un racconto che ha come filo conduttore la luce: non solo quella fisica, cifra inconfondibile del suo cinema (quello che ha dato colore ai film di Allen, Coppola, Bertolucci, Montaldo), ma quella teologica di un Dio che si fa bambino per illuminare il mondo.
Il romanzo sceglie una chiave favolistica, senza ambizioni biografiche, ma con un’attenzione rigorosa al contesto storico e religioso. I nomi sono quelli aramaici: Maria è Myriam, cresciuta giovanissima nel Tempio di Gerusalemme sotto la protezione dello zio Zekaryàh; Giuseppe è Yusaf, non un anziano ma un uomo adulto, forte e premuroso. Al centro c’è la tenerezza del loro legame, un amore casto e determinato, chiamato a custodire un mistero più grande di loro.
La storia si apre con la luce abbagliante della stella, interpretata come una rarissima congiunzione planetaria, che irrompe nella notte di Betlemme e accompagna la nascita di Yeshua in una grotta. «Furono abbagliati da quella stessa luce», si legge, «che scendeva all’interno della grotta e illuminava il neonato adagiato nella culla di paglia». Da qui prende avvio il racconto dell’infanzia e della prima giovinezza di Gesù, segnato dalla fuga in Egitto, dall’inseguimento dei sicari di Erode, dal rifugio presso le comunità essene, in un continuo alternarsi di pericolo e protezione.
Il passo è già cinematografico: deserti, monasteri, paesaggi attraversati dalla violenza del potere e dalla paura della morte. Erode appare come un sovrano feroce e malato, incapace di accettare il proprio declino; Roma, con Cesare Augusto, incarna la supponenza di un impero che non immagina di essere alle soglie di una svolta irreversibile. In mezzo, una famiglia in cammino, accompagnata – nella dimensione simbolica del racconto – dall’ombra vigile dell’arcangelo Gabriele, visibile solo al Bambino e agli animali.
Il romanzo immagina anche il rapporto con il cugino Giovanni, futuro Battista, compagno di formazione nel monastero esseno del Monte Carmelo, su consiglio del prozio Giuseppe di Arimatea. Il racconto avventuroso si intreccia con l’attesa da parte del mondo di un Messia che man mano si rivela attraverso le antiche profezie. «Mi sono accorto che nei Vangeli c’è un vuoto tra i 6 e i 12 anni di Gesù», spiega Storaro. «Un’età fondamentale, che invece è raccontata poco o nulla. Il Vangelo si ferma con “crebbe in sapienza”, ma noi vogliamo esplorare il significato di quella sapienza». Una crescita fatta di studio, di silenzio, di osservazione, ma anche di gesti prodigiosi e parole sorprendenti, che rivelano una consapevolezza fuori dal comune.
Un progetto che Storaro ha voluto condividere con la Chiesa confrontandosi con monsignor Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo. «È una legittima curiosità personale dell’autore», osserva Milani, «che immagina una storia tra la fantasia e la possibile realtà, basandosi sui Vangeli apocrifi e su altre tradizioni. Ma non è un romanzo con preoccupazioni biografiche: tende piuttosto a sottolineare il Mistero di questo bambino. Il positivo è mettere in luce un Dio che si incarna, che diventa accoglienza, vita, rifiuto della potenza. Una storia attraversata da una tenerezza diffusa».
Da qui nascerà anche il film, diretto da Rashid Benhadj, con il coinvolgimento del figlio di Storaro, Giovanni, come produttore esecutivo. «Il mio linguaggio non è quello della parola, ma dell’immagine», spiega ancora il direttore della fotografia. «Vogliamo una narrazione che parta da un’intuizione pittorica e arrivi dritta al cuore dei giovani, con un tono non drammatico ma favolistico».
Ed è proprio ai ragazzi che Il piccolo Messia guarda con maggiore attenzione. «Oggi molti giovani si sentono persi, senza punti di riferimento», conclude Storaro. «Vorrei proporre una figura alternativa: un Gesù bambino che cresce, studia, apprende, si forma. Una presenza reale e vicina, capace ancora di ispirare». In quella luce antica, che continua a interrogare il presente.

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