martedì 17 maggio 2022
La regista, all'indomani della canonizzazione dell'ispiratore dei Piccoli Fratelli di Gesù parla dell'incontro con i suoi seguaci e a quel richiamo, attraverso la fraternità, al santo di Assisi
Regista. Liliana Cavani in un'immagine d'archivio

Regista. Liliana Cavani in un'immagine d'archivio - Boato

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Dalla sua casa in Trastevere affacciata sull’Isola Tiberina che da millenni lambisce e divide le due sponde del Tevere, il fiume di Roma, la regista Liliana Cavani ha vissuto questa domenica la proclamazione da parte di papa Francesco a santo del “suo” Charles de Foucauld (1858-1916) come un «momento di grazia e di gioia per un personaggio che ha segnato la mia vita come quella di Francesco d’Assisi per la stessa idea di fraternità e non solo. Basti pensare alla sua idea di testimoniare il Vangelo senza chiedere la conversione di nessuno... e amando gratuitamente le persone che incontrava».

Era infatti il 1964 quando la Rai di Ettore Bernabei direttore generale, affidò alla giovane regista, originaria di Carpi, classe 1933, la realizzazione di un documentario che fece epoca Gesù mio fratello. Fu il primo filmato, tutto in bianco e nero, pensato per il grande pubblico per raccontare la storia di Charles de Foucauld e dei discepoli del suo carisma e stile di vita i “Piccoli Fratelli di Gesù”.


«Nelle persone incontrate nel film ho colto una grande intensità di fede, nella certezza che ogni vita
ha un senso e un valore immenso perché è voluta dal Creatore»

Un personaggio così singolare per la cineasta emiliana soprattutto per la sua storia dai tratti incredibili: l’ufficiale francese di cavalleria che divenne frate trappista e si ritirò da eremita a Tamanrasset, nel Sahara algerino, dove morì tragicamente nel 1916. «Io stessa prima della realizzazione di questo documentario non ne sapevo nulla – è la confidenza – . Un alto burocrate della Rai, Pier Emilio Gennarini, un cristiano fantastico, mi parlò di Charles de Foucauld con un entusiasmo enorme… Non lo conosceva quasi nessuno questo personaggio invece lui ne era entusiasta e mi convinse a fare un documentario di un’ora su di lui». E annota un particolare: «Fu questo funzionario della Rai a organizzare per me una rete di incontri di “Fratelli e Sorelle” di Gesù in Francia, Italia, Libano, Siria e Israele».

Da quel momento la Cavani si mise sulle tracce di de Foucauld e di capirne così la sua eccezionalità di uomo e di esploratore del deserto del Sahara.

«Egli veniva da una famiglia nobile e una carriera militare; ma poi tutto cambiò. Mi fece impressione il cambiamento della sua vita – racconta – che fu totale come capitò a san Francesco. Ebbe dapprima un percorso di preghiera in solitudine, la ricerca confusa ma poi sempre più nitida dell’incontro tra quel te stesso confuso e Dio, un fatto che sembra dapprima pura vaghezza (come capitò anche a Francesco d’Assisi ) ma che poi gli fa conoscere a fondo se stesso, perché fa piazza pulita con tanta confusione e tanta incertezza fino a scoprire , grazie all’idea di “Fraternitas ”, che la sua può avere un senso reale soltanto nella connessione con gli altri. Charles de Foucauld decise di rivoltare la sua vita dopo essere stato un eccellente militare ricominciò da capo accettando di lavorare come ortolano presso le clarisse di Nazareth e stando ore e ore nella piccola cappella in compagnia di un se stesso che andava nascendo a nuova vita. Trovai la sua ricerca del suo nuovo sé stesso commovente e profonda».

E a colpire ancora oggi del filmato della Cavani – oltre ad accennare alla vita di de Foucauld – è mettere in primo piano l’esistenza quotidiana dei suoi figli: i piccoli Fratelli di Gesù sparsi in ogni angolo del Pianeta (tra loro il camionista, il pescatore o gli operai di Marsiglia).

«Sono rimasta colpita dalle loro storie. Molti di loro, come si evince dal filmato, vivono mischiati alla gente... lavorano per mantenersi e per condividere con generosità fraterna i bisogni, i problemi che la vita ti presenta». Filo rosso narrativo – il vero messaggio chiave del documentario è mettere al centro la vita di Gesù come “semplice” carpentiere a Nazareth.

«Sono rimasta impressionata da tutti i Fratelli e Sorelle di Gesù sparsi per il mondo che ho incontrato. Ho ammirato la loro pazienza e la loro fatica e anche l’amore vero per la vita. Mi è parso di capire che questo uomo scoprì più di tanti il vero significato del dirsi cristiano. Me lo ricordai quando feci il mio primo “Francesco d’Assisi”, mio primo film».

Un viaggio in bianco e nero quello della Cavani che le permise di capire nel profondo la vita di queste persone apparentemente ordinarie che vivevano la loro missione come Gesù a Nazareth. Ma in “missione” in ogni angolo dimenticato del pianeta.

«Mi colpirono tante storie. Tra queste quella della sorella di Beirut che va a lavorare in una valigeria per avere un poco di denaro da condividere con la sua “famiglia” che sono i vicini di casa nella bidonville immensa della capitale libanese, l’oculista che cura i bambini poveri a rischio di cecità a Damasco, il pescatore del nord della Francia che sta ore sul mare per mantenere alcune famiglie poverissime, l’autista che sta al volante di un camion e lavora 12 ore al giorno pregando tutto il tempo per chi “ha bisogno di Dio”».

Un’esperienza e un incontro dunque con i Piccoli Fratelli di Gesù che cambiò in un certo senso la vita della stessa regista. «Nelle persone da me incontrate in questo film ho colto una grande intensità nella fede e nella certezza che la vita, ogni vita ha un senso e valore immenso perché voluta dal Creatore. E forse questo stile di fraternità che queste persone mi hanno trasmesso mi hanno poi spinto, quasi indotto, a fare poi tre film su Francesco d’Assisi».

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