venerdì 23 gennaio 2009
La convivenza fra i credenti delle due religioni presuppone che si faccia chiarezza sui punti fermi che dividono e su quelli che avvicinano i due monoteismi. Una densa riflessione del gesuita Troll Sostiene il teologo tedesco che introdusse il seminario voluto dal Papa: «La società pluralista impone di mettersi in ascolto dell’altro: su violenza e libertà religiosa il mondo musulmano deve ancora fare i conti».
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Solo insieme le società pluralistiche e globalmente interconnesse della terra hanno un futuro. Se vogliamo evitare il clash of civilizations, lo scontro di civiltà, non esiste – né in Europa né altrove – alcuna alternativa a un dialogo sincero, franco e cri­tico fra le religioni e le culture. Se la convi­venza nella diversità è lo scopo da raggiun­gere, allora tutte le comunità religiose devo­no porsi queste domande: come bisogna concepire e mettere in atto la fede traman­data, i valori morali e la legge religiosa nel contesto di una società culturalmente e reli­giosamente pluralistica? Quali sono i mezzi adeguati per tradurre in pratica in essa i fini, i valori e le idee della propria religione? Per il dialogo con l’islam – che significa 'sot­tomissione totale a Dio' – tali domande so­no quanto mai attuali. Pressoché nessuno contesterà che proprio in tale dialogo esisto­no molti ostacoli e vicoli ciechi. Ma è un fat­to che il numero degli stati etnicamente, culturalmente e religiosamente omogenei diminuisce, anche nel mondo islamico. Neppure un paese come l’Arabia Saudita può oggi fare a meno di prendere sul serio la propria minoranza musulmana, gli shi’iti. E in essa, che si concepisce come la 'custo­de' dei due santuari islamici centrali, della Ka’ba a Makka/La Mecca e della tomba di Muhammad/Maometto a al-Madina/Medi­na, vive oggi oltre un milione di cristiani provenienti per lo più dalle Filippine e da al­tri paesi asiatici, cristiani che attendono an­cor sempre il riconoscimento e la messa in pratica dei loro diritti, in particolare per quanto riguarda il libero e pubblico eserci­zio della loro religione. I diritti dell’uomo sono la base di una convi­venza pacifica e solidale. La questione dei diritti dell’uomo, non da ultimo la questione del diritto a una libertà religiosa positiva e negativa, non potranno più essere a lungo e­vitate neppure da influenti istituzioni acca­demiche del mondo islamico come, ad e­sempio, dall’università al-Azhar del Cairo o dalla Lega musulmana mondiale alla Mecca ( al-Rabita). Chi vuole soluzioni praticabili per i proble­mi posti dalla posizione eterogenea delle so­cietà moderne deve volere il dialogo. Il dia­logo nel senso di una ricerca reciproca e fa­ticosa di una convivenza giusta e armonica è la condizione della possibilità del dialogo specificamente interreligioso. Cristiani e musulmani – cioè quanti profes­sano l’islam – si sanno chiamati dalle loro ri­spettive Sacre Scritture a essere 'testimoni della verità' gli uni verso gli altri e verso tutti gli uomini. Tanto più necessariamente biso­gna perciò riconoscere che le differenze nel­l’immagine di Dio e nell’immagine dell’uo­mo delle due comunità religiose sono im­portanti. Inoltre cristiani e musulmani sono tra loro in contrasto non solo su questioni centrali della fede. Esistono anche problemi e divergenze pratiche. Così in non pochi Paesi a maggioranza musulmana i cristiani non possono esercitare pubblicamente la loro religione; esistono minacce di vario ge­nere nel caso del passaggio a un’altra religio­ne o dell’opzione in favore dell’areligiosità. E a loro volta i musulmani si vedono, in Pae­si di tradizione cristiana con costituzioni se­colari, sotto vari aspetti svantaggiati. Se la testimonianza della fede deve trovare ascolto e convincere, bisogna che le due parti siano percepite come sinceramente impegnate a trovare una soluzione soddisfa­cente a questi problemi attraverso uno scambio differenziato e una reciproca disa­mina. Attualmente udiamo qua e là – sia da parte dei credenti che da parte di critici secolari – affermazioni come questa: il dialogo non serve a niente, è solo una perdita di tempo. Tali affermazioni fanno soffrire non da ulti­mo coloro che da anni si sono impegnati per una migliore comprensione fra cristiani e musulmani. Ma quali prospettive e quali punti focali emergono nell’odierna fase del dialogo cristiano-islamico, fase caratterizza­ta da una nuova più sobria consapevolezza? Sul piano politico nel senso più ampio del­l’espressione possiamo dire: tanto i cristiani quanto i musulmani sono parte della nostra società pluralistica. Occorre incoraggiare e accompagnare l’avviato processo della reci­proca presa di conoscenza con molteplici i­niziative. Queste dovrebbero coinvolgere il più possibile tutti i cittadini di buona vo­lontà. Accanto all’informazione abbiamo naturalmente bisogno anche dell’autocriti­ca a proposito delle nostre immagini sem­plificatrici o addirittura deformanti dell’al­tro. I cittadini cristiani dovrebbero prestar atten­zione alle giustificate richieste dei musul­mani nei vari campi della vita pubblica, dal­la costruzione di moschee fino a un’adegua­ta regolamentazione della sepoltura. Inoltre bisognerebbe continuamente esaminare dove e in che modo cristiani e musulmani possono promuovere e tradurre in pratica insieme, nella loro re­sponsabilità davanti al Creatore, valori e finalità sociali e bioetiche. Le questioni della convi­venza e dell’etica sono importanti per cristiani e musulmani come cre­denti, ma non sono tut­to. Anche le questioni, che hanno a che fare con contenuti della fede e con atteggiamenti reli­giosi, quindi il dialogo interreligioso nel senso vero e proprio dell’e­spressione, è importan­te. Di che si tratta in tale dialogo? Anzitutto esso si occupa dei punti in comune e delle diversità della rivelazione biblica e del Ku’r’an/ Corano, non da ultimo nell’orizzonte della moderna critica della re­ligione. Un confronto approfondito delle ri­spettive rappresentazioni delle figure dei profeti nella Bibbia e nel Corano e di tutta la rispettiva dottrina circa il profetismo e la sua comparsa nella storia solleva la questione fondamentale della concezione della storia. Ben presto risulta una cosa: ebrei e cristiani sono qui affini, mentre i modelli fondamen­tali della dottrina cristiana e quelli della dot­trina musulmana riguardanti i profeti sono sostanzialmente diversi. Del dialogo su questioni fondamentali della religione fa parte anche la problematica del­la violenza. In merito i cristiani dovranno di continuo evidenziare le tendenze alla vio­lenza insite nella propria storia e nel proprio presente. Ma nello stesso tempo si chiede loro anche di mettere i loro interlocutori musulmani di fronte al fatto che, nell’odier­na situazione mondiale, la violenza speciosa­mente motivata e legitti­mata in maniera religio­sa si richiama in preva­lenza all’islam. Tuttavia non si tratta affatto di sospettare in linea gene­rale di violenza i musul­mani e l’islam. Un complesso di temi d’importanza centrale per il dialogo cristiano­musulmano riguarda la libertà religiosa e la co­stituzione dello Stato moderno. I diritti fonda­mentali e i diritti del­l’uomo e, tra di essi, in particolare la libertà religiosa ben difficilmente possono dispie­garsi senza il riconoscimento e senza la sal­vaguardia dell’autonomia della religione nei confronti dello Stato, nonché dell’autono­mia dello Stato nei confronti della religione. Un dialogo deve prendere seriamente il fat­to che il mondo islamico, nel suo complesso non riesce ancora ad abituarsi bene all’idea della libertà religiosa e della libertà d’opi­nione e, quindi, a tutto il complesso dei di­ritti dell’uomo. A fianco il giurista Cesare Mirabelli, sulla sinistra il patriarca di Venezia Angelo Scola. In alto un’immagine della visita di Benedetto XVI alla Moschea Blu di Istanbul, nel 2006
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