Mai Roma ha conosciuto un’invasione così massiccia e ordinata. Forse davvero per capire chi è stato Giovanni Paolo II basterebbe ricordare l’infinita catena di preghiera che ha accompagnato il suo ultimo viaggio. Un corteo ininterrotto di cardinali, vescovi, sacerdoti, religiose e soprattutto tanta, tantissima gente comune. Aldo Maria Valli era in piazza San Pietro la notte in cui il cuore di Karol Wojtyla si è fermato. Prima la corsa alla postazione Rai per il collegamento. Poi la lunga diretta dai microfoni del Tg3, come immerso in una bolla d’aria, senza più sentire i rumori e le voci del villaggio dell’informazione che circondava il Vaticano. «Quando finalmente mi dicono che sono in onda – scrive Valli – incomincio a parlare ma ho una strana sensazione: è come se fosse un altro a parlare per me, e io lo ascolto. Sto raccontando la morte del Papa. Del mio Papa». I ricordi, più vivi che mai del vaticanista, oggi al Tg1, sono raccolti in un libro, edito dalle Paoline. «Il mio Karol » (pagine 320, 24 euro), non è una biografia, anche se non mancano i numeri del Pontificato e le tappe centrali dell’esistenza di Wojtyla. Non è neppure un reportage, malgrado molte pagine siano dedicate alle mete dei viaggi di Giovanni Paolo II. Potremmo definirlo il racconto di due vite che si intrecciano. Nel 1978 quando l’arcivescovo di Cracovia venne eletto Papa, Aldo Maria Valli aveva vent’anni: era uno studente con la passione per il giornalismo. Il 2 aprile 2005 quando Wojtyla morì, era diventato un affermato professionista dell’informazione, sposo e padre di sei figli. In mezzo ci sono ventisette anni di vita e trentadue viaggi in cui, per così dire, il vaticanista ha accompagnato il Pontefice. Del primo sul volo papale, in Ungheria (settembre 1996), Valli racconta un episodio curioso. Era capitato accanto a Orazio Petrosillo e il vaticanista del «Messaggero» gli diede un singolare consiglio: «Ogni volta che durante il viaggio ti offrono da mangiare, accetta senza fare complimenti, perché non ci sono orari e non sai mai quando potrai mettere qualcosa sotto i denti». Fu proprio in Ungheria che Navarro Valls rivelò che il Papa soffriva di una sindrome extrapiramidale, cioè del morbo di Parkinson. Una ma-lattia che se riuscì a invadere e fiaccare il corpo, non ebbe mai il sopravvento sullo spirito, mai riuscì a indebolire quella straordinaria «missione» di cui Wojtyla stesso aveva parlato nel 1994 dopo il ricovero al Gemelli per la frattura del femore: «Il Papa – disse nell’occasione – deve soffrire perché il mondo veda che c’è un Vangelo superiore, il Vangelo della sofferenza con cui si deve preparare il futuro». Ma se la malattia è stata fondamentale soprattutto nella seconda parte del suo Pontificato, l’elemento che Giovanni Paolo II ha messo al centro sin dall’inizio è stato la persona umana con i suoi diritti fondamentali. Primo fra tutti il diritto alla vita stessa e alla libertà religiosa. Temi risuonati pressoché in tutti i viaggi del Papa sia in Italia che all’estero e che, ovviamente, ritroviamo nelle pagine di Valli. Capitoli, frammenti di vita che il vaticanista racconta con una professionalità senza sconti e insieme con trasporto ed affetto. «C’è – scrive Gianni Riotta nella prefazione – nella sua prosa, un certa meraviglia, un certo candore, una forma di stupore davanti al destino, provvidenza è la parola che lui preferisce, che lo ha scelto per assistere a una evangelizzazione che non ha pari nella storia ». Nessuna ansia di scoop nelle pagine di Valli o rivendicazione orgogliosa del proprio ruolo. Solo la responsabilità e la bellezza insieme di raccontare un uomo tanto grande e che tanto ha significato per lui. Il volto di Wojtyla, i suoi documenti ne hanno accompagnato la giovinezza e la maturità. «Mi ha parlato mentre ero studente e mentre ceril cavo il primo lavoro, si è rivolto a noi quando ho conosciuto Serena, quando ci siamo sposati e quando sono venuti al mondo i nostri figli». Parole, che adattate alle singole storie, in tanti possono sottoscrivere. E come succede per le persone care, ognuno ha il proprio ricordo di Giovanni Paolo II. Quello di Aldo Maria Valli, singolarmente emerge durante la telecronaca dei funerali, ed è legato al colore bianco. «Della neve e del ghiaccio che il Papa amava. C’è una foto di Wojtyla in montagna, nello scenario di un ghiacciaio. È felice di essere lassù – scrive –, sorride con il viso e con gli occhi. Lo ricordo così, il mio Karol».