venerdì 16 aprile 2021
Alla vigilia della Giornata universitaria del 18 aprile gli ex studenti dell’ateneo, ora professionisti, rispondono alla lettera dell’arcivescovo Delpini che sprona i cattolici a fare cultura

«Cattolico italiano, che cosa pensi?». È piuttosto imprevedibile – com’è suo stile – il contenuto e il tono del messaggio in forma di lettera ai credenti che l’arcivescovo di Milano Mario Delpini ha scritto per la 96esima Giornata dell’Università Cattolica, in programma domani, con vista sulla celebrazione del centenario dell’ateneo.

Non uno scritto di circostanza, ma un invito argomentato a esprimere un pensiero significativo e interessante nella società plurale (e ferita della crisi pandemica), parole e pensieri che meritino di essere ascoltati. Di certo merita una lettura questo testo, che oltre a essere sul sito Giornatauniversitacattolica.it è al centro del libro pubblicato per questa Giornata («Ci vorrebbe un pensiero»), con le risposte di 15 laureati (quattro dei quali ci raccontano la loro storia in questa pagina).

«Caro cattolico italiano – scrive Delpini –, mi permetto di raggiungerti con questa domanda un po’ indiscreta e provocatoria, perché mi sembra una questione troppo trascurata e troppo necessaria». Lo spunto è dentro l’attualità del tempo aspro che attraversiamo, nella persuasione che a emergenza superata «non sarebbe giusto passare oltre, come se il caso fosse chiuso. Sono sorte troppe domande, si sono manifestate troppe virtù ignorate, sono emerse troppe meschinità. Si vorrebbe capire, sarebbe doveroso interpretare. Ci vorrebbe un pensiero».

Quale? «Un pensiero cattolico vivace, solido e generoso, capace di dialogo, costruttivo: non è questo il compito più essenziale ed entusiasmante per questa nostra grande e amata Università Cattolica?». (F.O.)


IN UN LIBRO IL DIALOGO TRA IL VESCOVO E I LAUREATI

Una lettera, quindici risposte. Le parole dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini nel suo messaggio per la Giornata 2021 dell’Università Cattolica («Cattolico italiano, che cosa pensi?») e quelle che la lettura del denso e originale testo hanno suscitato in alcuni laureati dell’ateneo – tra professionisti e docenti – sono tutte raccolte in un bel libretto, «Ci vorrebbe un pensiero. In risposta a una lettera di monsignor Mario Delpini a 100 anni dalla nascita dell’Università Cattolica» (Vita & Pensiero, 130 pagine, 12 euro) con la postfazione del rettore Franco Anelli, curato dallo storico Ernesto Preziosi, del quale in questa pagina proponiamo parte dell’introduzione.

Sull’educazione e la formazione Alessandra Augelli, pugliese, 42 anni, ha centrato tutta la sua carriera e la sua passione. Che di sicuro, come ammette, è stata arricchita dalla possibilità di confrontarsi con i ricercatori e gli studiosi che ha avuto modo di conoscere proprio all’Università Cattolica.

«Ho studiato in una università statale, in Puglia – ricorda –, e in Cattolica ho svolto poi il dottorato. Devo dire che appena ho cominciato a frequentare questo ateneo ho notato la differenza per l’attenzione alla persona dello studente. Tanto che oggi quello che mi porto più dietro, con riconoscenza, è la possibilità di unire, all’interno dell’università, un pensiero naturale sulle cose con un orizzonte cristiano». Il che si traduce in sostanza, spiega ancora Augelli, «nella possibilità di approfondire temi e questioni di studio e di ricerca con una visione del mondo che attinge alla fede e ci porta a tenere insieme la vita con la ricerca e la spiritualità».

Una ricchezza culturale che Augelli porta avanti nel suo impegno oltre che nella vita di tutti i giorni: «Ho avuto la possibilità di incontrare colleghi e persone che condividono il mio stesso orizzonte e con cui si creano relazioni autentiche – ricorda –, ci impegnavamo negli studi con un’attenzione all’etica, ai temi di ricerca, alle dinamiche relazionali, oltre che alla didattica e all’esperienza». Docente a contratto di Pedagogia sociale e interculturale all’Università Cattolica di Piacenza, Augelli tiene corsi sulle dinamiche relazionali e i processi di crescita personali e collettivi. Tra i suoi lavori, Il mistero dell’educazione. Spunti e orientamenti pedagogici sulle tracce di Gabriel Marcel (Milano 2020), In itinere. Per una pedagogia dell’erranza (Lecce, 2013), Erranze. Attraversare la preadolescenza (Milano 2010).

L'apertura al mondo è sempre stata una delle principali aspirazioni della vita di Ciro De Girolamo. Classe 1982, dopo la maturità al liceo scientifico di Avellino, l’arrivo a Milano per gli studi universitari alla Cattolica è stato il primo passo di una lunga serie di spostamenti in giro per il mondo.

Da studente ha partecipato a numerosi programmi di scambio internazionale e poi, dopo la laurea in Economia (tesi in Etica sociale), ha continuato con le esperienze all’estero. «La Cattolica è stata una mamma perché mi ha insegnato a guardare al mondo intero con fiducia. Sono abituato agli obiettivi, ma la vita mi ha portato spesso a vivere esperienze che mai mi sarei aspettato. È giusto pianificare, ma è importante anche capire che c’è un progetto su di noi che a volte ci sfugge».

Per amore della moglie, Ciro ha deciso di cambiare lavoro e vita e si è trasferito a Ginevra. Dal 2017 è responsabile di progetto per il gruppo Msc Cruises e collabora con organismi internazionali su sostenibilità, change management e privacy. «A sposarci è stato il professore relatore della mia tesi, don Ferdinando Citterio, una delle persone più brillanti che abbia mai conosciuto. Mia moglie è ortodossa, siamo una famiglia cristiana con valori ben radicati».

Valori approfonditi durante gli studi universitari, appezzati anche nel mondo del lavoro: «Da parte delle aziende c’è il desiderio di trovare pensieri alternativi per opporsi al decadimento generale. Significa umanizzare, portare valori nella vita concreta e nelle relazioni. La testimonianza resta fondamentale. Anche nel lavoro, chi ha ruoli di responsabilità ha maggiore influenza sugli altri. Le aziende lo sanno, per questo sono in ricerca di manager con menti e cuori pulsanti. Per fare calcoli bastano le macchine...».

«È l’inquietudine uno dei principali frutti dello studio e della ricerca». Carlo Assi subito dopo la laurea in Scienze politiche si è iscritto all’associazione degli alumni della Cattolica, restandone presidente dal 2011 al 2017 (oggi è vicepresidente vicario): «Sono stato il primo presidente con meno di 40 anni, e il primo non professore.

Cercando sinergie, focalizzando mission e obiettivi, siamo diventati interlocutori riconosciuti dell’ateneo». Nel 2016 ha contribuito a fondare il coordinamento delle Associazioni alumni italiane a Bruxelles «per rivendicare il ruolo del sapere nella costruzione europea, come servizio per le finalità comuni, con competenze specialistiche e apertura mentale».

Consigliere nazionale Avis, oggi si occupa di comunicazione interna per Intesa Sanpaolo. «L’università – riflette Assi – è luogo di cultura e di ricerca e abbraccia in ogni istante tutto l’orizzonte temporale di ciò che abbiamo dietro e davanti a noi. Un luogo che valorizza l’importanza del dialogo ma che insegna anche che non si deve costruire nulla con la menzogna. Ecco perché l’università è luogo di libertà». Una ricerca continua che nasce da quella stessa inquietudine di cui parlava il cardinale Martini all’inaugurazione nel 1987 della Cattedra dei non credenti: «È importante sentirsi inquieti. Sedersi e non pensare – spiega Assi – significa spegnere il cervello.

Ho ricevuto questa inquietudine nel corso della mia formazione alla Cattolica, sono grato a quegli anni. Ma è giusto precisare che non è un dono facile: significa essere sempre in ricerca, mettersi in gioco, esporsi alla possibilità di cambiare idea. L’esperienza universitaria insegna anche un corretto lavoro di squadra, non svalutando né l’io né il noi, superando sia il collettivismo sia l’iper-individualismo. La sintesi è la capacità di valorizzare il plurale, intendendolo come relazione tra persone».

Tutto è cominciato con un bollettino per l’iscrizione all’Università nascosto sotto una tazzina di caffè. Angela Mastronuzzi, 44 anni di Taranto, aveva saputo di essere stata ammessa sia alla Cattolica di Roma sia in una università statale. Ma aveva deciso di ripiegare su quest’ultima per non gravare sul bilancio familiare. Il papà però aveva capito che il suo desiderio non poteva essere sacrificato e quel bollettino per la Cattolica glielo pagò senza dirle niente.

Da allora la vita di Angela prende la strada tanto desiderata: nel 2002 una laurea in Medicina, cinque anni dopo la specializzazione in Pediatria, con indirizzo onco-ematologico. E poi tanto impegno nel sociale che lei non lascia mai da parte: dal 2001 al 2005 collabora alla direzione del Collegio universitario San Luca-Armida Barelli. Nel 2015 completa un dottorato in Medicina molecolare.


«Per me studiare alla Cattolica rappresentava un valore aggiunto rispetto alla mia formazione cristiana – ricorda –. Immaginavo che quegli studi avrebbero contribuito a formarmi come persona prima ancora che come professionista. Già dai primi anni dell’Università, anche attraverso le iniziative del centro pastorale e i vari gruppi che frequentavo, avevo la possibilità di impegnarmi nell’ospedale come volontaria. La formazione per me è stata fondamentale.

Dopo tanti anni ho ripreso i contatti con buona parte dei miei compagni universitari e con i colleghi che vivono nelle zone più disparate del mondo. Abbiamo iniziato così una serie di progetti di ricerca, ognuno mettendo a disposizione dell’altro la propria competenza. Poi ho avuto la possibilità di creare una rete di ricerca che mi permette di ampliare i miei studi». Dal 2010 è impegnata all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e dal 2017 è responsabile di Neuro-oncologia, nel dipartimento di Onco-ematologia diretto da Franco Locatelli.

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