venerdì 26 maggio 2023
Chiesa è anzitutto la comunità delle persone «ma lo spazio fisico dell’edificio chiesa è fondamentale per predisporre agli atti liturgici, alla meditazione, alla preghiera»

Oltre a essere luoghi di culto, loro compito fondamentale, gli edifici sacri riqualificano il territorio. Parlano gli architetti Botta, Portoghesi e Leoni.

Chiesa è anzitutto la comunità delle persone «ma lo spazio fisico dell’edificio chiesa – osserva l’architetto Mario Botta, uno dei più proliferi progettisti di edifici di culto contemporanei – è fondamentale per predisporre agli atti liturgici, alla meditazione, alla preghiera. L’ambiente invita al silenzio, alla pace, al raccoglimento: una condizione nella quale non può essere gettato di colpo chi vive nel mondo attuale pieno di immagini, suggestioni e frastuoni. È necessaria una mediazione, e questa avviene per gradi, nel passaggio attraverso la piazza, il sagrato, il colonnato».

Le chiese offrono momenti di pausa nelle città e la continuità dello spazio urbano vi trova un’oasi che a chi passa ricorda come la vita non possa restringersi negli angusti limiti di obiettivi parziali, del tempo che fugge. La loro presenza è tanto più necessaria dove maggiore è la confusione e più evidente l’assenza di bellezza. Com’è scritto nella Nota pastorale “La progettazione di nuove chiese” «il rapporto tra chiesa e quartiere ha valore qualificante rispetto a un ambiente urbano non di rado anonimo»: qui la presenza di una chiesa è «capace di orientare e organizzare gli spazi circostanti ed essere segno dell’istanza divina in mezzo agli uomini». Infatti le chiese e i centri parrocchiali, oltre a offrire ambienti dove sono accolti giovani e adulti di ogni provenienza, sono anche chiamati a porre al primo posto la bellezza, anche nelle periferie dove la speculazione edilizia l’ha totalmente trascurata.

«Una bellezza che – continua Botta – l’architettura oggi ricerca nelle forme essenziali: nei miei progetti le geometrie primarie sono elementi chiarificatori, capaci di dare allo spazio quell’ordine che rimanda al concetto di cosmo. Siamo bombardati da immagini e forme continuamente cangianti: abbiamo bisogno di momenti che interpretino il distacco dalla quotidianità ma questi non devono risultare estranei alla cultura contemporanea. Per cui non si possono più progettare edifici in stile. Gli stili passati testimoniano il passato: grande, importante e destinato a restare. Ma per noi ormai sono lontani». Eppure la chiesa reca un messaggio sempre attuale, che supera il tempo. E, come nota Paolo Portoghesi, artefice di tante chiese, tra cui il complesso interparrocchiale di San Benedetto a Lamezia Terme, «oggi costruire chiese che abbiano il crisma dell’artisticità non basta perché i fedeli si sentano a casa propria e, come diceva papa Benedetto XVI, invitino Dio a entrare.

Contemporaneità e artisticità a volte comportano la secolarizzazione, quella malattia sottile che interrompe il dialogo col divino. Max Weber la definiva il disincanto dal mondo. Il problema è che dopo il Concilio Vaticano II non sono emerse soluzioni universalmente valide. Le ragioni sono tante, tra cui il funzionalismo ch’è tuttora imperante e non è più ispirato da una fede profonda. La paura di sembrare conservatori porta a evitare la continuità con la tradizione. Tipico esempio di fraintendimento è il tema della chiesa dei poveri, sotto la cui avvincente etichetta s’è offerta a volte ai fedeli una chiesa impoverita, che accettava la secolarizzazione come qualcosa da estendere al mondo religioso. Forse ciò che serve è invece quella ricchezza spirituale che non costa niente ma manca sempre più nel mondo dei media e dei social: è necessario incontrarla nelle chiese. E dove trovarne esempi se non nell’eredità storica, anche recente, che nella sua straordinaria ricchezza e diversità può offrirci quel che serve a ridare attualità al discorso evangelico?

Ma ovviamente la tradizione va pensata, come lo è stata sempre dagli artisti creativi, come una fiamma accesa da custodire non come mero ossequio ai tempi passati». Le chiese antiche, da tutti ammirate, romaniche barocche o gotiche, sono perlopiù state costruite con investimenti oggi inimmaginabili – si pensi alla ricchezza del campanile di Giotto a Firenze o all’imponenza di tante cattedrali ovunque in Italia. Anche oggi la Chiesa sa come donare bellezza alle città, contribuendo a conservare le chiese antiche, che costituiscono il più importante patrimonio storico architettonico esistente e, ove necessario, a erigerne di nove: se un tempo erano le comunità locali a sostenere i costi necessari per questi scopi, oggi in gran parte essi sono coperti dai contributi dell’8xmille.

«Le chiese antiche – osserva Luigi Leoni che, insieme col compianto padre Costantino Ruggeri ha progettato decine di chiese e cappelle, e disegnato migliaia di vetrate in tutto il mondo – esprimevano l’identità locale ed erano frutto di comunità radicate nel territorio. Ma oggi la comunità ha allargato i propri confini. È una comunità universale, come universale è la Chiesa: dunque la casa della comunità, la chiesa, è chiamata a esprimere la cultura dello stare assieme non solo nel luogo, ma anche nell’insieme del mondo, attraverso segni che siano ben leggibili. Per questo è importante che le creazioni architettoniche e artistiche siano ispirate dallo Spirito, il solo che dà valore e rende eloquente la bellezza.

Come? Attraverso espressioni che comunicano gioia. Penso al cammino compiuto dalle creazioni di padre Costantino, marcato dai richiami alla Vergine: dalla prima opera, il santuario di Santa Maria della Gioia a Varese, alla grande aula celebrativa per il santuario della Madonna del Divino Amore a Roma, nata dalla semplicissima idea di sollevare una zolla di prato dove inserire le ampie vetrate che danno l’idea di una grotta inondata di luce azzurra, alla nuova chiesa dedicata a Maria Theotokos, la Madre di Dio, presso la Grotta del latte a Betlemme. Tutte architetture semplici, ma tutte piene di gioia. Quella gioia che l’abbraccio della comunità alla luce del Padre celeste sempre comunica alle persone e diffonde nelle città».


Committenti e progettisti in dialogo sin dalla fase di ideazione
Tra i richiami essenziali per l’edificazione dei luoghi di culto, c’è la Nota pastorale “La progettazione di nuove chiese”, pubblicata nel 1993 dalla Commissione episcopale Cei per la liturgia. Un testo che, si legge nella premessa, vuole essere «un riferimento e uno stimolo al dialogo tra committenti e progettisti che deve iniziare nella fase stessa dell’ideazione e configurazione di un nuovo spazio sacro e svilupparsi nella fase successiva dell’arredo e della realizzazione».

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