lunedì 12 luglio 2021
Monsengwo è stato un riferimento per molti giovani, cattolici e non solo, «un modello di impegno e di coraggio di fronte alla negazione della democrazia e alle ingiustizie perduranti»
Congo, è morto il cardinale Monsengwo. Esempio di coraggio e impegno

Siciliani

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«Una grande autorità morale alla quale molte persone continuavano a far riferimento». Così il suo successore alla guida dell’arcidiocesi di Kinshasa, il cardinale Fridolin Ambongo, ricorda la figura del cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, deceduto domenica 11 luglio, all’età di 81 anni, a Versailles, dove era stato trasferito pochi giorni prima per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute.

Nel suo Paese, la Repubblica Democratica del Congo, come in molte altre parti dell’Africa e del mondo, sono moltissime le persone di Chiesa, ma anche del mondo politico e della società civile che hanno espresso il loro cordoglio. Perché il cardinale Monsengwo è stato davvero una figura “grande” in molti sensi, un protagonista di primissimo piano non solo a livello ecclesiale, ma anche dal punto di vista politico e sociale. E questo sin dall’epoca del colonnello Mobutu Sese Seko, quando, negli anni Novanta, Monsengwo fu presidente della Conferenza nazionale sovrana e del parlamento di transizione.
Oggi è l’attuale capo dello Stato Félix Tshisekedi che lo saluta come «un principe della Chiesa che ha lungamente lavorato al servizio del popolo», mentre il suo avversario Martin Fayulu lo ricorda come «un collante della coesione nazionale»; l'ex vicepresidente (ed ex capo ribelle) Jean-Pierre Bemba evoca «l'immagine di un padre amabile, altruista e devoto alla Chiesa del Congo». E persino l'ex presidente Joseph Kabila, con cui il cardinale aveva combattuto aspri “duelli”, lo omaggia come «un grand'uomo e un fine attore politico».

È quello che effettivamente è stato il cardinale Monsengwo, un uomo che abbinava doti di diplomatico a un parlare molto franco. «È tempo che la verità prevalga sulla menzogna sistemica, che i mediocri si facciano da parte e che la pace e la giustizia regnino in Repubblica Democratica del Congo», aveva tuonato all’inizio del 2018, dopo la violenta repressione di una manifestazione di giovani cattolici. Del resto, aveva sempre sostenuto che «la Chiesa ha il dovere di intervenire a voce alta per dire alle parti in causa che la carità cristiana è condizione irrinunciabile per la riconciliazione».

Impegno ecclesiale e impegno civile sono sempre stati al cuore della sua missione. Nato nel 1939 nella provincia di Bandundu in una famiglia di capi tradizionali, è stato ordinato sacerdote nel 1963 ed è stato il primo africano a conseguire un dottorato in Scrittura presso il Pontificio istituto biblico di Roma. È stato ausiliare di Inongo e di Kisangani, di cui è divenuto arcivescovo nel 1988, per poi essere nominato a Kinshasa dove è rimasto dal 2007 al 2018.

È stato anche presidente del Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam) e di Pax Christi International, con cui ha promosso molte iniziative di pace e riconciliazione nella regione dei Grandi Laghi. Creato cardinale nel 2010 da Benedetto XVI, è stato nominato Segretario speciale del Sinodo dei vescovi sulla “Parola di Dio”, primo africano a ricoprire quel ruolo. Ha partecipato al Conclave che ha eletto Papa Francesco, il quale lo ha voluto nel Consiglio dei nove cardinali incaricati di aiutarlo nel governo della Chiesa universale.


Monsengwo è stato un esempio e un riferimento anche per molti giovani, cattolici e non solo, «un modello di impegno e di coraggio di fronte alla negazione della democrazia e alle ingiustizie perduranti». Ma anche un uomo di pace, riconciliazione e dialogo, nonché «il più grande difensore del popolo congolese» secondo lo storico Isidore Ndaywel.

«La Chiesa - ci diceva il cardinale Monsengwo in un’intervista - deve farsi messaggera di pace, dignità umana, dialogo, riconciliazione, fraternità universale (Chiesa famiglia-di-Dio) e di speranza fondata sul mistero pasquale (croce-morte-resurrezione). Questo implica che sia sempre al fianco della gente che soffre e si metta al suo servizio». Un’eredità importante e impegnativa in un Paese, come la Repubblica Democratica del Congo, che continua a essere dilaniato da tanti conflitti e troppi interessi.

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