giovedì 14 giugno 2018
I vescovi locali contro la legge nazionale che impone ai preti di infrangere il sigillo
Confessione, no alla violazione del segreto
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È una legge «prematura e sconsiderata, apparentemente provocata dal desiderio di penalizzare la Chiesa cattolica senza considerare correttamente le conseguenze della decisione». È ferma la critica del presidente della Conferenza episcopale australiana, l’arcivescovo di Brisbane, Mark Coleridge, alla legge approvata nei giorni scorsi dal Territorio della capitale federale Canberra che impone ai preti cattolici di rompere in alcuni casi il segreto confessionale. Una legge che entrerà in vigore nel marzo 2019 e che raccoglie le raccomandazioni in tal senso della Commissione reale sulla piaga degli abusi sessuali sui minori.

Contro questo provvedimento si è espresso anche l’arcivescovo di Canberra e Goulburn, Christopher Prowse. Il quale ha affermato di essere favorevole alla estensione delle procedure di denuncia degli abusi alle autorità anche alle organizzazioni cattoliche, ma che non è disposto ad accogliere una richiesta di violazione del sigillo della confessione. Chi commette violenze sui minori, argomenta Prowse, «non confessa il suo crimine né alla polizia né ai sacerdoti», sottolineando che una tale legislazione mette a rischio la libertà religiosa. In pratica, rimarca l’arcivescovo di Canberra, «violare il sacro sigillo della confessione non aiuterà a prevenire abusi e non aiuterà gli sforzi che stiamo facendo per aumentare la sicurezza dei minori nelle istituzioni cattoliche».

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