giovedì 18 gennaio 2018
Dalla Patagonia cilena all’Amazzonia in Perù, tra i temi centrali della visita di Francesco in America Latina c’è la crisi ambientale. Parla il pastore di Aysén: è un segno dei tempi
Il vescovo Infanti

Il vescovo Infanti

COMMENTA E CONDIVIDI

«Il Cile si è inginocchiato alla religione del consumismo. Per fortuna è venuto papa Francesco a darci una “scossa”: le sue parole ci stanno aiutando a riscoprire il Vangelo, nella sua dimensione più profetica e missionaria». Il vescovo Luis Infanti de la Mora, italiano di nascita e vicario apostolico di Aysén, è commosso dalla presenza di Bergoglio nel suo Paese d’adozione. Un viaggio – sostiene – in cui il Papa ha voluto sottolineare la sua attenzione per la cura del Creato e di tutte le sue genti. Il messaggio pronunciato e vissuto in questi giorni, dunque, non è limitato alla “stretta” geografia cilena. «Si sta rivolgendo a tutte le società del Sud del mondo, basta vedere la presenza numerosa di fedeli venuti dall’Argentina, dalla Bolivia e dal Perù». Ma anche al Nord, «perché tutto è collegato», insiste Bergoglio nella Laudato si’. Ieri il Papa si è recato a Temuco, cuore della Patagonia, giacimento a cielo aperto di risorse di inestimabile valore. La tentazione di ridurle a oggetto da sfruttare selvaggiamente è grande. «A discapito dei più deboli», aggiunge monsignor Infanti, da sempre impegnato nella tutela dell’ambiente proprio in Patagonia. In particolare dell’acqua. Una lotta pacifica e coraggiosa raccontata nel libro di Elvira Corona, L'acqua liberata. Bloccate le megadighe in Patagonia: una storia di successo (Emi).

Ieri papa Francesco è stato in Patagonia. Domani sarà in Amazzonia. Qual è il filo rosso che unisce queste due terre geograficamente lontane?

Sono aree strategiche per il futuro dell’umanità, data la concentrazione di biodiversità e le enormi riserve di acqua dolce, da cui dipende la vita. Per tale ragione, entrambe sono state e sono “terre di conquista”. Ora, però, la colonizzazione non viene realizzata con gli eserciti ma con la complicità degli stessi “colonizzati” grazie al potere di corruzione del denaro.

La chiamano il vescovo ambientalista. Si considera tale?

Mi considero un vescovo che cerca di rispondere alle sfide attuali, partendo dalla fede, dalla spiritualità e dalla esperienza di Cristo liberatore e del suo Vangelo, attento a discernere il progetto di Dio nella realtà. Non posso, dunque, chiudere gli occhi di fronte ad essa, venendo meno al mio dovere di pastore. Grazie a Dio, ho un popolo che mi aiuta a “tenere il passo”.

Sta parlando del “movimento civile” che si è creato nella diocesi di Aysén per stoppare i progetti delle maxidighe?

Quel movimento è nato da una riflessione profonda della popolazione, soprattutto dei giovani. La Chiesa ha cercato di accompagnarla, dal punto di vista etico e spirituale.

Qualcuno storce il naso di fronte al continuo invito del Papa a custodire la Creazione. Lo considerano una “concessione alla moda ecologista”. Che cosa risponde loro?

Papa Francesco ama sottolineare che «il grido dei poveri e il grido della madre terra è uno solo». La crisi ambientale è parte della crisi globale: politica, culturale, etica, morale, sociale, economica, familiare. È un segno dei tempi che deve spingerci a costruire una nuova umanità, in cui la comunione e la solidarietà siano le basi per le nostre relazioni con Dio, con le persone - culture - popoli, e con il Creato. Al fondamento della nostra fede c’è la consapevolezza che la terra è del Signore. A noi è data “in prestito”: abbiamo, dunque, il dovere di valorizzarla, non di violentarla. Il nostro stile di vita irresponsabile verso i fratelli e l’ambiente ci sta portando all’autodistruzione. Un peccato contro Dio che vuole, per le sue creature, “vita e vita in abbondanza”.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI