martedì 4 febbraio 2025
Il teologo domenicano Giuseppe Marco Salvati segretario della Pontificia Accademia di teologia interviene sul tema di una teologia “rapida” lanciato da padre Antonio Spadaro sulle pagine di Avvenire
San Tommaso d’Aquino scrive gli inni al Santissimo Sacramento, Chiesa di San Domenicoa Bologna (Guercino)

San Tommaso d’Aquino scrive gli inni al Santissimo Sacramento, Chiesa di San Domenicoa Bologna (Guercino) - Agenzia Romano Siciliani

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In un recente e molto interessante articolo pubblicato su questo giornale, padre Antonio Spadaro sprona i teologi ad avere «il coraggio di vincere le paure, attraversare il mare e compiere la traversata insieme all’umanità di questo nostro tempo», invitandoli a mettersi «alla ricerca di nuovi linguaggi per dire la fede», avvertendo che «scarsa riflessione critica e scarso discernimento possono condurre... a un soggettivismo religioso fondamentalista o a un sincretismo superficiale, tentazioni che pensano sia necessario riciclare il Vangelo trasformandolo o in una bottega di restauro, oppure in vari laboratori di utopie». La teologia, continua Spadaro, «deve farsi carico di pensare le onde, ... di gettarsi nelle rapide e di pensare rapidamente, in corsa, senza lamentarsi di non avere il tempo per ragionare, pianificare. Abbiamo bisogno di un pensiero teologico rapido, di una teologia rapida».

Chiarissima la sollecitazione a esercitare un teologare vivo, che si muova con occhi aperti, con mente pronta, con cuore libero, senza paludamenti e nostalgie, che non resti chiuso in gabbie culturali incapaci di intercettare domande e bisogni nuovi. A elaborare una teologia che non si avvicini più alle conquiste della scienza o alle nuove visioni del mondo con atteggiamento concordista o con spirito apologetico; e che, nell’impegno ad approfondire e presentare l’esperienza cristiana o il patrimonio della fede, non usi più categorie interpretative e linguaggi non illuminati e trasformati dagli sviluppi teologici succeduti al Concilio Vaticano II.

Commentando la stimolante proposta di Spadaro, l’arcivescovo Bruno Forte – sempre su questo giornale – ha segnalato la necessità di un aspetto complementare di qualsiasi pensare, anche di quello teologico: la lentezza, che della rapidità può essere addirittura «perfino complice, quando questa diventa necessaria affinché la dimensione temporale di un pensiero, di un’azione o di un processo sia vissuta e trasmessa ad altri nel modo giusto», aggiungendo che «il tempo è una ricchezza di cui disporre con agio e distacco. Rallentare, divagare, fermarsi – correre, quando se ne ha bisogno – sono aspetti della vita vissuta consapevolmente e in pienezza, da parte di tutti, nessuno escluso».

Mi sembra di poter aggiungere che abbiamo oggi bisogno di una teologia che non sia solamente rapida, nel senso indicato da Spadaro, senza smettere di essere lenta, nel senso indicato da Forte, ma che sia anche sapida. Utilizzo questo aggettivo ispirandomi a quanto Tommaso d’Aquino scrive in diversi testi: anzitutto nella Summa Theologiae (I pars, quest. 1, art. 6), dove afferma che la teologia è sapienza, osservando che compete al sapiente, da una parte, ordinare e giudicare; dall’altra, «indirizzare tutti gli atti umani al debito fine». È evidente che i verbi “ordinare”, “giudicare” e “indirizzare” hanno bisogno di un’interpretazione “aggiornata”, ossia che utilizzi gli strumenti e le sensibilità culturali del XXI secolo, in atteggiamento di dialogo, con sensibilità inter- e trans-disciplinare, che si lasci illuminare dalle grandi prospettive aperte nel corso del tempo dalla riflessione credente (si pensi, ad esempio, al I Conclio di Nicea...). Potremmo senza difficoltà intenderli come un invito a coltivare l’intelligenza credente (teologia) in modo rigoroso, coerente, senza servilismi ideologici, né pregiudizi; come un richiamo a essere teologi con libertà di mente e coraggio di pensiero, con sguardo proteso al futuro senza svincolarlo dalle radici autentiche; con disponibilità alla conversione del pensiero, se lo richiede una corretta interpretazione della Parola di Dio; con fedeltà al presente, con spirito di servizio.

L’Angelico segnala, inoltre, che esiste «una duplice sapienza» (Summa Theologiae, I, quest. 1, art. 6, ad 3um), da cui derivano due forme di giudizio. La sapienza, che è una sapida scientia (Summa Theologiae, I, quest. 43, art. 5, ad 2um; II-II; quest. 45, art.2), può originare un giudizio “per inclinazione”, che è quello dell’uomo virtuoso, che vive un’affettuosa relazione con Dio; tale giudizio – si potrebbe osservare – ha sempre una naturale rapidità. Si dà, poi, un giudizio che si ottiene per via di scienza, che è frutto di studio e di competenze acquisite, che si connota per una doverosa lentezza, «necessaria – come scrive Forte – affinché la dimensione temporale di un pensiero, di un’azione o di un processo sia vissuta e trasmessa agli altri nel modo giusto».

Insomma, la teologia sapida può e deve possedere tanto un carattere “esperienziale”, quanto un carattere “speculativo”. Il primo deriva dal suo germinare dall’incontro personale con il Dio di Gesù Cristo, dall’intreccio tra la Sua e la nostra storia, qui ed ora, nella comunità dei credenti; per cui essa non sarà mai pensabile al fuori dei contesti di vita e della loro complessità, si metterà al loro servizio, non trascurerà la propria dimensione “pubblica”. D’altro canto, una teologia sapida non rinuncia all’impegno a lasciarsi illuminare dalla Parola, a cercare la verità, a indicare le vie del bene autentico, ad ascoltare tutti i “cercatori” della verità e del bene, a coltivare la bellezza. Una teologia sapida non crea barriere, ma abbatte i muri; rende amici di Dio (Inos Biffi) e fa crescere in questa amicizia e nello stesso tempo favorisce l’amicizia fra gli uomini di buona volontà; essa non consente di compiacersi degli enuntiabilia, ma alimenta la consapevolezza dell’ulteriorità di Dio e del nostro essere viandanti verso la Luce infinita.

Com’è noto, con il recente motu proprio Ad theologiam promovendam (1 novembre 2023) papa Francesco ha approvato i nuovi Statuti della Pontificia Accademia di Teologia. A ben leggere il documento, si noterà che – in qualche maniera – esso conferma e sprona i teologi e tutta la comunità credente a pensare la teologia come attività simultaneamente rapida, lenta e sapida. Queste dimensioni contribuiranno a realizzare quel «cambio di paradigma» (Ad theologiam promovendam, 4) e la «coraggiosa rivoluzione culturale» (Laudato si’,114), che il Pontefice sollecita.

domenicano e segretario della Pontificia Accademia di Teologia (Path)


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