sabato 28 settembre 2013
​Ancora una volta la Conferenza episcopale italiana richiama tutti al rispetto del bene comune. Ribadito l’appello contenuto nella prolusione del cardinale presidente. «La stabilità è il presupposto necessario per la coesione sociale in un momento di perdurante crisi».
IL COMUNICATO
L'APPELLO
Fronte comune di banche e imprese: «No alla crisi, è l'ora di decisioni coraggiose»
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Stabilità. Ciò che serve all’Italia in questo momento è la stabilità. I vescovi non hanno dubbi e monsignor Mariano Crociata se ne fa portavoce. Al segretario generale della Cei hanno appena chiesto che cosa si è detto nel Consiglio permanente concluso giovedì a Roma sui venti di crisi che soffiano sempre più minacciosi sul governo Letta. Il presule non ci pensa un attimo, riprende in mano il testo della prolusione con cui il cardinale presidente, Angelo Bagnasco, aveva aperto la sessione del parlamentino della Cei e cita testualmente: «Occorre evitare inutili divisioni tra le forze politiche per non perdere il treno della ripresa. Inoltre «ogni scelta in questo momento difficile sarà sottoposta al giudizio della storia». Durante i lavori, aggiunge, «è emersa piena condivisione dell’appello del cardinale». Anche perché «la stabilità è il presupposto necessario per la coesione sociale in un momento di perdurante crisi del Paese che pesa sui giovani e sulle famiglie».

Parole chiarissime. Pronunciate durante la conferenza stampa con cui Crociata ha presentato alla stampa il documento finale della riunione autunnale del Consiglio permanente (che Avvenire pubblica integralmente). E ribadite poi, in alcune dichiarazioni televisive e radiofoniche a margine dell’incontro con i giornalisti. «Il Paese, proprio per la situazione che sta vivendo, ha bisogno di stabilità. Sta alle forze politiche trovare le formule e i modi, ma noi avvertiamo – ripete – che l’Italia ha bisogno di stabilità, per affrontare i gravi problemi che la gente vive sulla propria pelle».

E tra i problemi, al primo posto dell’elenco c’è la questione lavoro. «Questo problema è un vero incubo che si avverte dappertutto – dice Crociata –. Le parrocchie e le Caritas lo conoscono molto bene e non per sentito dire, ma perché sono a contatto ogni giorno con le famiglie». Dunque, «anche in funzione di ciò, la stabilità è da perseguire in tutti i modi».

C’è poi, strettamente connesso, il (latitante) sostegno alle famiglie. Quando gli pongono la domanda sull’accelerazione dell’iter di approvazione della legge sull’omofobia, il segretario generale della Cei, senza entrare nel merito specifico della questione, fa però notare: «Ritengo che la famiglia abbia bisogno di essere sostenuta perché è luogo di accoglienza e crescita della vita in cui le persone diventano se stesse in maniera concreta». Perciò, argomenta, «mi pare che la famiglia viva molte difficoltà, è stata ed è sovraccaricata di pesi che esorbitano dalle sue competenze e possibilità, ha dovuto fare da ammortizzatore rispetto a problemi più vasti. Allora, si ponga certo attenzione a tempo debito a tutte le altre questioni nella loro serietà e gravità, ma questo è il problema più grave e urgente».

La Chiesa italiana, da questo punto di vista sta facendo già tutto il possibile, ricorda Crociata. I sacerdoti, per esempio, non avranno alcun aumento del punto (legato agli indici Istat) in base al quale si determina la loro remunerazione. «Ed è il quarto anno che avviene – sottolinea il vescovo –. I nostri preti sono impegnati a condividere la vita concreta del loro popolo e quindi anche le difficoltà di tutte le famiglie messe a dura prova dalla crisi economica». La Cei inoltre, nota Crociata, rispondendo a un’altra domanda «non è fuori dal dibattito pubblico, né è presente solo sui temi religiosi. Ci siamo su tante questioni di etica personale, sociale, e anche su questioni quali l’individualismo, la concezione della persona, il senso della famiglia, o anche su temi come fede e ragione, la grande finanza, la pace. Ci siamo – sostiene – e ci resteremo».

Infine, in merito alle voci che lo volevano prossimo alla nomina a ordinario militare, il segretario generale della Cei afferma: «Non ne so niente. Ho letto come voi i giornali. Posso dirvi – conclude con una battuta – che non sono stato riformato. Non ho fatto il militare solo perché ero già diacono».

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