sabato 22 febbraio 2014
Nei prossimi giorni la berretta cardinalizia e l’anello gli verranno consegnate da un delegato.La testimonianza Già segretario di Giovanni XXIII, ha 98 anni e seguirà i consigli dei medici restando a Sotto il Monte.
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Il più carico d’anni fra i nuovi porpora­ti, che verranno creati stamattina da pa­pa Francesco in San Pietro, è il novan­tottenne Loris Capovilla, già segretario par­ticolare di Giovanni XXIII (o 'contuberna­le' come l’interessato preferisce definirsi), che vede questo 'riconoscimento' nel­l’anno della canonizzazione di papa Ron­calli prevista il 27 aprile. Capovilla però non è a Roma. 
 
Un colpo d’occhio ai nomi dei porporati e agli ambienti loro assegnati per le tradizionali «visite di calore» in Vaticano – l’Aula Paolo VI, la Sala Regia e la Sala Du­cale del Palazzo Apostolico – già mercoledì evidenziava la sua assenza: poi conferma­ta giovedì nell’Aula del Sinodo dal cardi­nale Sodano, decano del Collegio cardina­lizio, che, tra gli applausi (anche di papa Francesco), ha definito Capovilla «il più ve­nerando e anziano cardinale della Chiesa». Quando si ha quasi un secolo sulle spalle, non si possono sottovalutare gli inviti alla cautela dei medici: uno solo – nel caso del nostro – un geriatra assai apprezzato, non­ché pronipote di Giovanni XXIII. Così, Ca­povilla, che ancora la scorsa settimana pa­reva intenzionato a raggiungere Roma con­fidando ad alcuni amici di aver chiesto per sé al Pontefice «un rito abbreviato», alla fi­ne ha pregato papa Francesco di dispen­sarlo dal viaggio.
 
Diventerà cardinale oggi, quando si pro­clamerà il suo nome in Concistoro, men­tre riceverà quasi certamente la berretta sabato 1° marzo, a Sotto il Monte, a pochi passi da Ca’ Maitino (la casa dei ricordi di papa Giovanni, dove vive dal 1989), nella chiesa parrocchiale dedicata a San Gio­vanni Battista. Non vi è però al momento alcuna comunicazione ufficiale, anche se sul sito della diocesi di Bergamo per que­sta data, alle 16 proprio nella parrocchiale del paese natale di Roncalli – la stessa che il futuro Papa consacrò il 21 settembre 1929 quand’era visitatore apostolico in Bulgaria – è annunciata una cerimonia di ringra­ziamento. Né è ancora noto il nome di chi gli conferirà la berretta, né il titolo che ri­ceverà (Roncalli ebbe quello di Santa Pri­sca, che ora è del cardinale americano Ju­stin Francis Rigali).
 
L’ingresso nel Collegio cardinalizio di Ca­povilla ha guadagnato nei giorni scorsi l’at­tenzione della stampa internazionale e di molte televisioni straniere giunte per il Concistoro, che nelle loro registrazioni a Bergamo, hanno potuto documentare lu­cidità e capacità dialettica, ma anche l’at­tuale stato d’animo di questo sacerdote vis­suto accanto a Roncalli prima a Venezia poi in Vaticano.
 
I motivi di questa 'trasferta mancata' sono decisamente di carattere precauzionale e sin dall’annuncio della sua elevazione al cardinalato Capovilla ha rite­nuto di poter partecipare alla cerimonia. In ogni caso, per riprendere le sue parole in un’intervista apparsa su queste colonne quasi un anno fa, «conta la forza fisica, ma conta innanzitutto quella spirituale, inte­riore, la robustezza intellettuale: le gambe contano, ma di più la testa che ragiona e il cuore che ama». Difficile poi valutare il pe­so di altri motivi dietro questa decisione maturata nel tumulto dei sentimenti, del­le emozioni, dei ricordi... E, stretta, da una parte, dal vivo desiderio più che di «videre Petrum», di abbracciarlo e di esprimergli gratitudine (anche a nome di tanti preti an­ziani da 'don Loris', per così dire, associa­ti nella condivisione di quest’attenzione ri­servatagli dal vescovo di Roma). E, dall’al­tra parte, da forze fisiche spiegabili dal da­to anagrafico.
 
A ciò va aggiunto che da an­ni ormai Capovilla non esce dal paese vi­vendo nel suo 'eremo' di tre stanze, cir­condato dalle premure delle Suore delle Poverelle, un 'eremo' però sempre rima­sto aperto a chiunque abbia bussato: un luogo di solitudine e di lavoro, di silenzio fisico e interiore, di ascolto e direzione spi­rituale, ma anche una fucina di studio do­ve sono nati testi preziosi. Forse già diso­rientato dalla valanga di telefonate, lette­re, sollecitazioni, messaggi, talvolta anche provenienti da persone assenti da anni nel­la sua lunghissima vita costellata di incon­tri, e forse intimorito a dover sostenere più che il viaggio, le torme di amici e conoscenti che a centinaia nelle scorse settimane gli avevano chiesto di 'accompagnarlo' in Va­ticano per la porpora, alla fine don Loris ha fatto la sua scelta. Anche se non è detto che l’incontro con papa Francesco non possa trovare a breve un altro contesto.
 
Senza tornare troppo indietro nel tempo, non è però la prima volta, che un neocar­dinale viene dispensato dalla presenza in concistoro. Nel 1998, ad esempio, l’allora prefetto della Congregazione delle cause dei santi, Alberto Bovone, ricevette la ber­retta dalle mani del segretario di Stato An­gelo Sodano al Policlinico Gemelli, dov’e­ra ricoverato per una grave malattia: nel caso di Capovilla vale di più, però, il mot­to terenziano «senectus ipsa est morbus». E, come è noto, oltre che da legati papali, la porpora in passato è stata conferita an­che da alcuni capi di Stato in virtù di anti­chi privilegi oggi caduti. Accadde pure al futuro Giovanni XXIII, creato cardinale da Pio XII mentre era nunzio apostolico a Pa­rigi il 15 gennaio 1953, e al quale la berret­ta fu conferita – per un’ antico privilegio non più in vigore – dalle mani del presi­dente Auriol all’Eliseo. Lo stesso cerimo­niale fu riservato nel 1958 a Giuseppe Fiet­ta, fino a quel momento nunzio apostoli­co in Italia: fu il presidente Gronchi a im­porgli la berretta in una cerimonia al Qui­rinale.
 
Oggi, dopo la consueta celebrazio­ne all’alba nella cappella di Ca’ Maitino, in­sieme alle suore, Capovilla spera di riusci­re a trascorrere la mattinata nel raccogli­mento e nella preghiera. Forse tornerà a meditare sulle parole dell’«Adsumus del sesto Sinodo di Toledo»: la preghiera allo Spirito Santo declamata da Giovanni XXIII dopo la professione di fede all’avvio del Concilio e ripetuta all’inizio di ogni as­semblea conciliare. O a riflettere sul «Pat­to per una Chiesa serva e povera», quello sottoscritto da una quarantina di Padri con­ciliari alle Catacombe di Domitilla prima della chiusura dell’assise. Due fra i testi che gli sono più cari. Poi chissà, magari uno sguardo alla cerimonia sul piccolo scher­mo davanti al tavolo dove lavora e consu­ma i pasti. Lo stesso dal quale, ascoltando l’«Angelus», il 12 gennaio scorso aveva ap­preso, senza esserne stato prima informa­to, il primo annuncio della sua creazione a cardinale, confidando a chi gli stava ac­canto, dopo istanti di stupore: «Un raggio di sole al tramonto della mia vita».
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