mercoledì 15 ottobre 2014
È l'ultimo missionario rimasto a nel del Camerun, nel mezzo di una guerra «dimenticata». «Combattere il fondamentalismo islamico con l'istruzione». (Anna Pozzi) ​
Nigeria, dopo 6 mesi appelli per le liceali
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Si fa ogni giorno più drammatica la situazione nell’estremo nord del Camerun, dove i terroristi del gruppo nigeriano Boko Haram continuano a fare incursioni, attacchi e rapimenti. Secondo l’Alto commissariato per i rifugiati (Acnur), negli ultimi mesi si sarebbero riversati in questa regione oltre 43mila profughi nigeriani e ci sarebbero circa tredicimila sfollati camerunesi. «La situazione è drammatica – testimonia fratel Fabio Mussi, missionario del Pime a Yagoua, dove coordina la Caritas diocesana – ogni giorno centinaia di persone varcano la frontiera della vicina Nigeria e moltissimi camerunesi sono obbligati a lasciare case e villaggi, attaccati dai terroristi. Sono migliaia e nessuno di occupa di loro».  Fratel Mussi è l’unico missionario straniero rimasto in questa regione incuneata tra Nigeria e Ciad. Dopo il rapimento dei due preti fedei donum vicentini, don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri e di una suora canadese, tutti i missionari stranieri sono stati costretti a spostarsi altrove o più a sud e tutti i cooperanti o i lavoratori espatriati hanno dovuto lasciare il Paese. Quella che è una delle regioni più povere del Camerun oggi è letteralmente in ginocchio. E deve pure affrontare l’emergenza di migliaia profughi e sfollati, senza avere risorse umane e materiali adeguate. «Le autorità locali fanno il poco che possono, almeno per garantire un minimo di sicurezza – racconta fratel Mussi – e noi come Chiesa cerchiamo di essere vicini a questa gente, soprattutto ai più vulnerabili: bambini, donne e anziani ammalati».  Negli ultimi mesi, nonostante l’insicurezza, fratel Mussi ha compiuto diverse missioni nei villaggi dell’estremo nord del Camerun, per portare aiuti di prima necessità, per sostenere i pochi preti locali rimasti sul posto e per supportare le piccole équipe di Caritas che assistono i profughi. Ma anche per dare coraggio alla gente: «È importante che sentano che non sono stati abbandonati da tutti», dice il missionario. A Fotocol, in particolare, la situazione è critica. «Qui – conferma – si sono riversate migliaia di persone, in gran parte cristiane, fuggite dalla cittadina di Gambaru-Ngala, appena al di là de fiume, in Nigeria, attaccata ripetutamente dai terroristi di Boko Haram. Attualmente, a Fotocol tutte le scuole sono occupate dai profughi. Nel liceo ce ne sono almeno quattromila. E anche la scuola elementare che stavamo per aprire è invasa da famiglie di rifugiati».  Manca tutto: cibo, acqua, medicine, vestiti, servizi sanitari. «Il Centro Pime di Milano – dice il missionario – ha promosso un progetto di emergenza per aiutare questi profughi, ma la tragedia del Nord del Camerun è una delle tante guerre dimenticate di cui non parla nessuno…». Fratel Mussi, tuttavia, non si arrende, anzi. Cerca di far arrivare la voce di questi 'senza voce' ovunque gli venga data la possibilità. Ma soprattutto continua a sfidare sul posto la violenza e l’oscurantismo di Boko Haram (letteralmente 'il libro è peccato' e dunque l’educazione occidentale è proibita) non solo assistendo i profughi in questa emergenza, ma cercando di porre le basi per lo sviluppo e la pace, sostenendo o costruendo scuole. «Combattiamo il fondamentalismo islamico con l’arma dell’istruzione – dice convinto –. Per questo, continuiamo a lavorare molto in campo educativo e, laddove è possibile, cerchiamo di aprire sempre nuove scuole ». È successo recentemente a Kousseri, una delle zone più minacciate da Boko Haram, dove lo scorso settembre è stato aperto un liceo; e succederà a breve a Fotocol, non appena sarà possibile recuperare i locali della scuola elementare. «Attualmente – precisa il missionario – la sola diocesi di Yagoua gestisce, seppur a fatica, 28 scuole con oltre settemila studenti, talvolta in situazioni di estrema precarietà e pericolo. Ma questa è la nostra principale forma di resistenza: l’educazione e la cultura alla pace. Per continuare a diffondere i valori positivi di riconciliazione, fratellanza e solidarietà. E per promuovere lo sviluppo della persona umana in tutti i suoi aspetti».
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